Il “vinese” non funziona: bisogna trovare un altro linguaggio per comunicare il vino

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Troppo “vinese” nella comunicazione del vino: il consumatore medio tende a non recepire il messaggio di guide, blog specializzati, sommelier e via discorrendo, e alla fine il risultato è un certo disamoramento.

E’ una questione di cui si parla da tempo, ma di recente è stata sollevata a livello istituzionale da Roberto Burro, docente di psicologia presso l’Università di Verona. Nel corso della Valpolicella Annual Conference, Burro ha evidenziato la necessità di cambiare l’approccio linguistico al vino e rendere la comunicazione più comprensibile e accattivante. Secondo lo studio da lui condotto, i 64 descrittori comunemente utilizzati per il vino – tannico, astringente, abboccato, per dirne qualcuno – sarebbero estremamente difficili da comprendere per i non esperti, e darebbero informazioni poco chiare sul prodotto. “Interessante la proposta di cambiare il «vinese» – ha commentato il presidente del Consorzio di tutela dei vini Valpolicella Christian Marchesini – spesso ci capiamo tra noi, ma evidentemente il consumatore vuole un linguaggio nuovo e più inclusivo.” Al dibattito ha preso parte anche Gabriele Gorelli, che, nel suo primo intervento da Master of Wine, ha affermato: “il mio compito è quello di rendere accessibile e comprensibile a tutti le eccellenze italiane, valorizzandole e creando valore aggiunto lungo tutta la filiera”.

Presa coscienza del problema, viene da chiedersi come ovviare allo stesso e su quali strumenti far forza. Burro, dal suo canto, ha sviluppato un algoritmo che consente al produttore/sommelier di profilare il cliente e costruire la propria comunicazione in maniera concordante. La soluzione suona alla stregua di una extrema ratio quasi spersonalizzante, ma accende un faro su di una materia che è oggetto di studio in vari atenei. All’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, per esempio, gli studenti eseguono da tempo esercizi che mettono in connessione vino, arte, pittura, letteratura, filosofia, con il fine ultimo di creare fusioni e contaminazioni dalle quali possa scaturire un nuovo linguaggio, possibilmente più immaginifico e comprensibile per chi non ha dimestichezza con gli aspetti tecnici del vino. Si tratta, ovviamente, di approcci sperimentali, inconsueti, ma possono essere il punto di partenza per una riflessione sul senso del linguaggio e sulle sue possibilità, che di certo non sono circoscritte alla sfilza di descrittori tanto amata dagli “addetti al settore”.

(Fonte: ANSA)

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