Vino e carbonara: sei consigli per l’abbinamento perfetto

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L’idea originaria era quella di fare un giro per tutte le trattorie “per enofili” della capitale e buttare giù una mini-guida, ma la pandemia ci ha costretto ad accantonare il progetto per il momento. In compenso, però, abbiamo pensato di festeggiare il Carbonara Day con una raccolta di vini di sostanza e “de core” che con il piatto romano “par excellence” ci stanno divinamente.

La versione di Cesare al Casaletto

Se avete frequentato un corso da sommelier, saprete che la Carbonara chiama il bianco, perché l’acidità è la componente necessaria per sgrassare, ripulire il palato dalla cremina di pepe e pecorino e prepararlo al boccone successivo. Sconsigliato, invece, è il rosso per via del tannino, che non è assolutamente necessario a meno che il guanciale sia tostato al punto da diventar succulento (ma anche in quel caso sarebbe meglio evitare un Barolo o un Brunello giovane se non si vuole ottenere l’ effetto “stecca di ghisa”). In linea di massima questa è la regola da seguire, ma bisogna fare attenzione, perché chiaramente non tutti i bianchi sono adatti e non tutti i rossi ci stanno male. Se il bianco in questione non è strutturato a sufficienza, il piatto tenderà a sopraffarlo e non verrà fuori la sensazione di pulizia che si cerca. Se, invece, è troppo sapido, troppo spinto sulle durezze e carente di un corredo aromatico sufficientemente ricco, il pepe e il guanciale potrebbero dar vita a sensazioni sgradevoli, pungenti. Gli elementi essenziali per un abbinamento magistrale, a prescindere dal colore, sono tre: aromi ricchi, avvolgenti (magari derivanti dal passaggio in legno o da uno stile di vinificazione leggermente ossidativo); alcol (e più in generale una dose adeguata di morbidezza); l’acidità di cui sopra per stemperare. ” Te pare facile!”, mi dirà qualcuno… e in effetti bisogna tentare e ri-tentare per trovare la quadra. Con questi vini qui sotto, però, si va sul sicuro:

1. Frascati Superiore Riserva

Abbinamento classico, poco originale, ma che non tradisce quasi mai. So bene che il Frascati Superiore Riserva è lungi dall’essere il sogno erotico dell’appassionato, che questi vini non godono di una reputazione straordinaria. Sta di fatto, però, che offrono esattamente quel che occorre: alcol, morbidezza, un’acidità non esagerata, ma adeguata, e la giusta ricchezza aromatica, soprattutto se nel blend è presenta una quota rilevante di Malvasia del Lazio. In particolare mi sento di consigliare il Vigneto La Torre di Valle Marciana, versione da singola vigna di un’azienda piccola, ma promettente. I ceppi vecchi – 40/50 anni – e il breve passaggio in legno conferiscono la robustezza e la rotondità che occorrono per l’abbinamento. Di livello sono anche l’ Amacos di De Sanctis , il Primo di Merumalia e il Vigneto Filonardi di Villa Simone.

2. Fiano di Avellino e Greco di Tufo

I bianchi irpini non passano in legno, non fanno malolattica, ma per natura riescono a sviluppare quel connubio di acidità e parti morbide, gliceriche che serve per l’accoppiata con piatti di struttura. Se si aspira all’orgasmo culinario, bisogna mettere in tavola un Greco o un Fiano che abbia almeno 3-4 anni sulle spalle, ma anche le versioni più giovani regalano soddisfazioni. In attesa delle prime Riserve, che dovrebbero uscire a breve, consiglio:

Greco di Tufo di Vigne di Rosa, se volete una versione di artigiano “piccolo e prezioso” che mantenga una certa facilità di beva anche a fronte di una struttura solida.

Greco di Tufo Vigna Cicogna di Benito Ferrara per una coccola fruttata abbinata a una spinta acido-sapida mai fuori asse.

Greco di Tufo Raone di Torricino o Torrefavale di Cantine dell’Angelo per uno stile più ricco e ossidativo, molto minerale e allo stesso tempo cremoso, avvolgente. Questi due danno testa anche a una salsa “alla Roscioli” irrobustita da qualche grammo di Pecorino di Fossa.

Fiano di Avellino di Guida Marsella per un abbinamento basato sulla pulizia e sulla freschezza di un vino che rappresenta l’archetipo del Fiano (e forse del bianco irpino in generale).

Fiano di Avellino Vigna della Congregazione di Villa Diamante se preferite un vino che già in gioventù offre un tocco di morbidezza – e di complessità aromatica – in più.

Cupo di Pietracupa, se volete godere come matti. Questa perla sconosciuta in più, tirata in pochissimi esemplari, offre una stratificazione aromatica e un equilibrio da far impallidire i nostri cugini transalpini. Non è facile da trovare, ma, sondando i meandri del web – o recandosi in una famosa enoteca in Piazza Cavour a Roma – si riesce a rimediare qualche bottiglia.

3. Champagne

Miseria e nobiltà, cucina povera che sposa il vino aristocratico per eccellenza. Questo binomio è diventato molto popolare negli ultimi anni, ma è importante scegliere lo Champagne giusto per evitare l’effetto “acqua gassata”. Io mi sento di consigliare:

– dei Blanc de Noirs – ovvero Champagne da sole uve rosse – di grande struttura, ma anche dritti e sferzanti, come il Fidele di Vouette & Sorbeè, L’ Ouverture di Frederic Savart, l’ Ay La Pelle di Roger Brun, l’ Extra Brut di Tom Gauditiabois (qui la recensione completa).

– le cuveè di piccoli vigneron della Montagne de Reims, la zona dell’appellation dove si producono gli Champagne più robusti, più vinosi e complessi. I miei preferiti sono lo Shaman di Marguet, il Grand Cru Tradition di Egly Ouriet, il Brut Nature di Benoit Lahaye e l’Ambonnay Grand Cru di Andrè Beaufort.

– le Cuveè de Prestige delle grandi maison. In questo segmento c’è l’imbarazzo della scelta: a sentimento, però, proverei la Rare di Piper Heidsieck, la Grande Anneè di Bollinger o la Cuveè 743 di Jacquesson. Ma non è che Krug e Dom Perignon ci stiano proprio male…

4. Borgogna (sia rossa che bianca)

Ho dedicato un breve prezzo all’abbinamento tra la Carbonara di Taverna Volpetti e il Pommard 1er Cru Epenots di Moissenet Bonnard (lo trovate qui). L’abbinamento è interessante: il Pinot Noir fa il suo sporco lavoro con la spinta acida e il frutto a contrasto. Ma non è questa l’accoppiata più gettonata: è lo Chardonnay l’amante borgognone dalla Carbonara. Penso al Meursault di Francois Mikulski con le sue goduriose note burrose, mielate e la spinta minerale che calibra la massa, ma, se avete un budget limitato, potete anche optare per un più abbordabile vino del Maconnais, zona meno quotata, ma che regala grandi sorprese. Consiglio in particolare il Macon Villages di Les Herities de Comtes Lafon e il Saint Veran di Chateau Fuisse.

5. Orange wines

L’abbinamento con gli orange wines, che in genere offrono struttura, aromi intensi e un buon grado alcolico, è filologicamente corretto, ma bisogna stare attenti alle famigerate “puzzette” (riduzione, acetica, gout de souris ). Il rischio in caso di vino non pulitissimo è che i difetti si amplifichino nell’incontro con guanciale, pecorino e pepe, motivo per cui bisogna puntare su orange cristallini, impeccabili come la Malvasia di Damijan Podversic o l’ Ograde di Skerk. Il guizzo tannico degli orange dà anche una mano in caso di guanciale molto croccante (o tostato al limite della carbonizzazione!).

6. Barbera

Lo volete ‘sto rosso?! E allora bevetelo, va! … Ma se proprio volete rinunciare al bianco, scegliete la cara vecchia Barbera, che si presta molto bene con la sua acidità e il tannino pressappoco impercettibile. Lo so, non è un abbinamento locale, ma il Cesanese giusto devo ancora trovarlo. Ovviamente è meglio evitare un Nizza o una Barbera d’Asti con lungo affinamento in legno e preferire qualcosa di più semplice e beverino: per esempio la centratissime Barbera d’ Alba di Rizzi e Azelia, la Mariun di Matteo Correggia dal Roero, quella appena più robusta e leggermente “sauvage” di Cascina Fontana, o la succosissima Barbera d’Asti “base” di Cascina Castlet.

Ci sarebbero altri vini che si prestano all’abbinamento – per esempio il Cerasuolo d’Abruzzo e il Timorasso – ma queste sono le mie certezze. Poi ovviamente anche gli ingredienti usati – Pecorino più o meno stagionato, pepi esotici dai nomi impronunciabili, uova da galline che mangiano ostriche e caviale – rendono questo o quel vino più o meno adatto. L’importante, però, è che la carbonara, più che bene, venga bbona – come dice “le roi” Alessandro Pipero – perché se la crema non ha la consistenza giusta, il guanciale è molle, v’è scappato il pepe, c’avete messo il Grana invece del pecorino o – incubo degli incubi – v’è uscita la frittata, non c’è vino che possa metterci una toppa…

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