Mammarossa: la grande cucina (vegetale) del bistrot più raffinato d’ Abruzzo

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Il ristorante che cerca di cambiare lo storytelling culinario abruzzese, espressione di un fenomeno nazionale che le guide si ostinano a trascurare.

E’ quello della nuova bistronomie, rappresentata da insegne che propongono una cucina si ricercata, si internazionale, ma senza fronzoli, clichè o retaggi da nouvelle cuisine. Un modello di ristorazione elevata – ma non elitaria – che sembra aver contagiato anche questa piana nel mezzo dell’appennino, a circa un’ora di macchina dal raccordo anulare, dove Franco e Daniela Franciosi hanno creato qualcosa di difficile da ascrivere alle solite categorie. Una tavola abruzzese nell’anima, ma per niente omologata, dove il territorio è raccontato attraverso le quote, in un concept menu fa forza sulle erbe spontanee, sul vegetale in ogni sua forma, sullo zafferano e sui grani antichi, piuttosto che sulle carni, che continuano a dominare l’immaginario di una parte d’Italia in cui, francamente, la superficie dedicata agli allevamenti di bestiame da macello è molto marginale.

Da Mammarossa ogni piatto restituisce i colori naturali di una terra a tratti incompresa: il verde dei boschi, il giallo del grano, il bianco e il rosso dei fiori di campo che appaiono qua e là nella piana cinta dai monti che ricorda un po’ il Canada e un po’ le Ande ; uno scenario suggestivo che ci accompagna nel viaggio verso questo chalet alle porte di Avezzano, città dove svincolarsi dal solito canovaccio fatto di braci ardenti, arrosticini in coccio e salumi appesi ai muri è meno difficile, perché è un campo quasi neutro, tagliato fuori dai principali itinerari turistici, privato della sua identità architettonica da guerre e terremoti.

L’ambiente è “romitiano” nell’essenzialità quasi nordica degli arredi: una sola sala dove il legno la fa da padrone; una vetrata su di un piccolo cortile alberato, tavoli “a nudo” alla moda scandinava e qualche opera d’arte contemporanea sparsa qua e là. Un contesto moderno, ma non spersonalizzato, che ospita non più di una trentina commensali a pranzo la domenica e a cena tutti i giorni, con un menu fisso di 10 portate a 80 euro (ma se volete mangiare di meno, potete optare per la formula smart, che consiste in quattro portate un po’ più abbandonanti a 60 euro).

 

Il menù di “Mammarossa ad Avezzano

Il percorso, che viene aggiornato mensilmente, spazia tra valli ed altopiani, orti e pascoli, partendo con tre bocconi di grandissimo carattere: un carpaccio di manzo speziato in una salsa dai toni acidi rinfrescanti, un cannolo ripieno di coratella al Montepulciano dal sapore verace, senza compromessi; del pane da grani autoctoni con della ricotta che evidenzia da subito un modo assolutamente rivoluzionario di servire i lievitati. Ogni portata, infatti, viene accompagnata da una cialda, un grissino, una fetta, una brioche, che fungono da complemento o da apripista per il piatto seguente. È l’evoluzione successiva di quel ritorno alla centralità del pane nell’esperienza gastronomica promosso da Romito, del quale Franco ha imparato l’arte, per poi declinarla in maniera del tutto personale e forse ancor più visionaria.

Mammarossa - Insalatina Trota Bernese
Mammarossa – Insalatina Trota Bernese

Ed è così che una cialda di sesamo affianca e arricchisce “fiume”, ovvero un’insalata dall’orto di famiglia con una salsa bernese di rinforzo e la trota che rinvigorisce solo la texture, passando in secondo piano rispetto alla materia vegetale. Il grissino allo zafferano, invece, dá la terza dimensione con la sua croccantezza alla tagliata di rapa con caprino e senape di selvatica.

Mammarossa - Rapa Caprino Semi Senape Selvatica
Mammarossa – Rapa Caprino Semi Senape Selvatica

Ci si prende una pausa dai carboidrati – e si integrano i tradizionalissimi legumi – con “altopiano”: omaggio alla zona di Navelli, 1400 metri sul mare, terra del famoso zafferano, anche detto “L’Oro d’Abruzzo”. L’estetica è degna di un’ opera d’arte astrattista e la resa in bocca è simile a quella di una fonduta con molti grassi in meno.

Mammarossa - Altopiano Ceci Spezie
Mammarossa – Altopiano Ceci Spezie

Un piatto apparentemente semplice, ma centrato, che precede una pasta memorabile. Ecco, se c’è un difetto nell’impostazione tipica della bistronomie di cui sopra, è proprio la rinuncia al piacere incommensurabile del primo piatto italiano in nome di uno zelo salutista quasi nordico. A questo dogma Franco riesce a contravvenire con un fusillo clamoroso, in cui il vegetale del pesto d’aglio orsino – che non è aglio, ma un’erba spontanea con un sapore molto simile – fa l’amore con la pasta giustamente al dente, appena spolverata di pecorino e caffè che amplificano la persistenza dei sapori.

Mammarossa - Fusilli Aglio Orsino Pecorino Caffe'
Mammarossa – Fusilli Aglio Orsino Pecorino Caffe’

Si prosegue con altri due piatti vegetali che non fanno rimpiangere le proteine animali: radicchio marinato, erborinato, aceto di visciole, con una fetta di pane di Grano Solina bagnata di olio e aceto a richiamare una merenda contadina; poi il pancotto in brodo di capretto con gli “orapi”, spinaci selvatici raccolti ad oltre 1000 metri d’altitudine. Anche qui la carne – o meglio, il sapore della carne – è al servizio dell’elemento vegetale e non il contrario.

Mammarossa - Radicchio Arrosto Erborinato Aceto di Visciole
Mammarossa – Radicchio Arrosto Erborinato Aceto di Visciole
Mammarossa - Maiale
Mammarossa – Maiale
Mammarossa - Pancotto Brodo di Capretto Orapi
Mammarossa – Pancotto Brodo di Capretto Orapi

Un po’ sotto le aspettative il risotto con stracchinato, estratto d’alloro e fegato di manzo: bene la cottura così come l’intensità dei sapori, ma servirebbe un guizzo acido per rimettere il tutto in equilibrio. Si recupera subito con la prima delle due carni: capocollo di maiale cotto nel fieno, con cipollotto, salsa di soia e verdure. Anche qui la parte vegetale gioca un ruolo fondamentale bilanciare la grassezza di un maialino cotto alla perfezione, insieme all’umami della soia che ci teletrasporta in mondi lontani. Ma si torna subito ai boschi dell’Appenino con l’abbraccio terragno del midollo di vacca alla brace spolverato di tartufo estivo e appena insaporito da un goccio dell’unico ingrediente totalmente alloctono fino a questo momento: la colatura d’alici.

Mammarossa - Midollo di Vacca alla brace
Mammarossa – Midollo di Vacca alla brace

Ultima tappa in vetta con un dessert molto più acido che dolce – latte di mucca cagliato, granita di limone, fragole e rosmarino – e si arriva pieni e soddisfatti al caffè di torrefazione Giamaica.

Mammarossa - Dessert
Mammarossa – Dessert

Come tutti i responsabili del beverage degli indirizzi di questa novelle vague, Daniela ha preso come punto di riferimento la galassia dell’artigianale-naturale, con tanto di omaggio al “guru” Sandro Sangiorgi sulla prima pagina della carta vini. Ma le scelte si rivelano tutt’altro che ideologiche, anzi la proposta è eclettica, ben strutturata, profonda quanto basta. C’è tutto l’Abruzzo “indie”, ma anche Champagne, Borgogna, l’Italia dei grandi vigneron. Noi optiamo per il percorso al calice e facciamo un viaggio quasi tutto abruzzese con giusto un salto in Piemonte per la Barbera spigliata, beverina di Migliavacca. Menzione d’onore per i due rosati di Caprera e di Cato, molto diversi tra loro, ma capaci di mettere in chiaro la versatilità della tipologia sulla cucina vegetale.

La deduzione finale è che qualcosa d’importante sta accadendo nel mondo della ristorazione italiana: è stato inaugurato un capitolo “binostromico” che mette in discussione le divisioni e gli schemi stagni tanto cari alla Rossa e a tutte le altre guide. Mammarossa, come altri ristoranti del filone, sfugge agli stereotipi e dimostra che si può raccontare il territorio senza scadere per forza nel dejavu della trattoria, che si può fare alta cucina senza ricercare il lusso fine a sè stesso, senza diventare schiavi delle distribuzioni che appiattiscono il gusto e privano l’offerta di qualunque legame con il luogo. Ne verrete fuori con circa 100 euro tutto incluso: una cifra più che onesta per un giro per sentieri in “quota” che pochi ristoratori hanno il coraggio d’esplorare.

Via Garibaldi, 388, 67051 Avezzano AQ

Telefono: 0863 33250

 

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