Il Piemonte aldilà di Barolo e Barbera: quattro vini favolosi dai territori emergenti

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Dopo l’anteprima Timorasso, proseguiamo con un viaggio attraverso quattri vini “minori” – per notorietà, ma non per qualità – che raccontano un Piemonte tutto da scoprire: lontano dai riflettori, dal glamour della Langa e dintorni; fatto di vigne stipate in anfratti remoti, tanto belle a vedersi quanto difficili da gestire.

Ecco i quattro vini da non perdere dal Piemonte minore:

Cascina La Signorina – Ovada Superiore La Bocassa 2007

Cominciamo dal povero Dolcetto, vitigno in via d’estinzione, perlomeno nelle zone più “in” della viticoltura regionale, dove il Nebbiolo si sta prendendo tutta la scena. Leggere l’annata “2007” accostata al suo nome può far rabbrividire chi è abituato alle versioni fresche, disimpegnate – e spesso piuttosto anonime – prodotte in Langa, che raramente durano più di un paio d’anni. Eppure a Ovada, ultimo avamposto della viticoltura piemontese prima del valico che porta alle spalle di Genova, dove le case cominciano già ad avere facciate variopinte in pieno stile ligure, una tradizione di produrre Dolcetto da invecchiamento c’è sempre stata: la testimonia anche Mario Soldati in Vino al Vino, parlandone come di “vino di maggior corpo e maggior spessore” (rispetto alla controparte langarola). Merito dei cloni locali del vitigno, tra i quali si distingue il Nibió – riconoscibile per il raspo che, in epoca vendemmiale, diventa rosso – ma anche di un territorio che associa altitudini quasi appenniniche a un clima mite che favorisce la maturazione fenolica di quest’uva notoriamente ostica da coltivare.

Quasi tutte le aziende in zona ne propongono una versione con maturazione in legno, rilasciata tardivamente, ma nessuno si spinge più in là di Alberto Montagna de La Signorina, azienda-oasi dove la vigna è circondata da boschi e altre coltivazioni, e capre, asini e anatre scorrazzano liberi. Alberto aspetta ben sedici anni dalla vendemmia prima di uscire con il suo Ovada “Bocassa”, che sfoggia un un colore vivo, compatto ma senza eccessi, e dispensa profumi molto diversi rispetto a quelli a cui i frequentatori di Dogliani e dintorni sono abituati: boero, nocciole tostate, kir royal abbinati a una traccia terrosa e tabaccosa, legata a doppio filo ad evoluzione e stile di vinificazione completamente “nature”. Più che il solito Dolcetto, può ricordare una grande Barbera con il suo mix di frutto avvolgente e acidità elettrizzante, salinità che la terza dimensione e ritorni golosi di frutta in composta e torrefazione. A stupire è anche il prezzo: 10-12 euro di media, forse anche meno se lo si compra direttamente dall’enoteca che Alberto gestisce in quel di Genova Pegli.

92/100

Stefano Occhetti – Langhe Nebbiolo Sanchè 2020

Da Ovada al Roero, un territorio estremamente affascinante che negli ultimi anni si è sdoganato dalla reputazione di serbatoio d’uve a basso prezzo utilizzate dai langaroli per i loro vini base. Viverlo attraverso gli occhi di un vignaiolo che ogni giorno si fa un “mazzo tanto” per coltivare vigneti irti su pendii sabbiosi è sempre emozionante, a maggior ragione se il produttore in questione è fresco di recensione entusiasta sull’ Italy Guide di Decanter, la bibbia del vino anglosassone.

Che poi, a dirla tutta, Stefano Occhetti viticoltore lo è per scelta di vita e non per formazione: albese di nascita, ha deciso a un certo punto di mollare una brillante carriera da ingegnere per trasformare la casa di famiglia in quel di Monteu Roero in una cantina e di cominciare a recuperare una manciata di vigne nei Cru Occhetti e Sanchè.

La sua produzione è nell’ordine di poche migliaia di bottiglie, tutte esaurite prima dell’uscita dell’annata seguente in commercio. È per questo che ci limitiamo ad assaggiare i vini nuovi e, dopo una Barbera di discreta beva e un Langhe Nebbiolo “ de soif”, passiamo al Roero Sanché 2020. Un vino abbastanza classico per trasparenza ed elargizione di profumi floreali e di fragolina selvatica, con fondo balsamico e appena ematico. Se vi aspettate i muscoli e la stratificazione di un Barolo siete molto fuori strada: la forza del Roero sta nella scorrevolezza, rafforzata in questo caso dalla ricca materia fruttata dell’annata, che fa il paio con acidità ben dosata, tannini soffici, qualche rimando tostato a dare un po’ di spessore al finale equilibrato, che richiama abbinamenti con cibi neanche troppo impegnativi. Penso a una carne cruda all’albese o a una fettuccina con ragù di salsiccia.

91/100

Valchyara – Rosato Bambagia 2022

Quando si parla di Rosati, il Piemonte non è di certo la prima regione che viene in mente. Eppure qualche Rosè “unicorno” che vale la pena di provare c’è. È il caso del vino veramente bizzarro di Valchyara, azienda stipata in angolo remoto – e magnificamente panoramico – della Valchiusella, ai piedi della Serra Morenica d’Ivrea. Un luogo magico dove, tra pergole di Freisa, Erbaluce e qualche pianta di Riesling Renano, un emigrante sardo ha pensato bene di piantare del Cannonau. “ Ho rilevato la vigna e, all’inizio ho provato a vinificarlo in rosso, ma veniva fuori un vino molto verde che faceva a malapena 11 gradi alcolici” ci spiega Costantino, titolare dell’azienda. Da qui la decisione di assembrarlo con un po’ di Freisa e tentare la “vie en rose”, vinificando in bianco e lasciando il tutto a fermentare spontaneamente.

Non chiarificato e nemmeno filtrato, il Bambagia ha un colore tenue, ma è esplosivo al naso: fragolina selvatica, pomodorino infornato, una spolverata di pepe bianco e a una ventata balsamica ed erbacea che è il timbro di fabbrica del territorio alpino. Ha volume e ricchezza fruttata, leggera traccia vegetale di sottofondo che va a rafforzare la scorrevolezza di beva. Ha abbastanza equilibrio per lasciarsi bere da solo, ma starebbe bene anche con uno speck o con un salume un po’ rustico: mi viene in mente il salam patata della tradizione canavesana.

91/100

Cantina Togliana – Carema L’ Arsin 2020

Quanti ettari hai? 6000 metri: a Carema parlare di ettari è difficile!”. In queste parole, l’essenza dell’ultimo baluardo del vino piemontese prima del confine con la Valle d’Aosta: un mosaico di piccole parcelle terrazzate che sfruttano spazi angusti tra le pareti di roccia che formano la valle della Dora Baltea, creando così uno degli scenari più belli della viticoltura mondiale.

Non stupisce affatto che Carema, a fronte di pochissimi ettari, faccia parlare molto di sé, perché quello che sta succedendo qui negli ultimi anni non ha quasi eguali in regione. Un gruppo di giovani produttori sta ridando vita a questo luogo magnifico, in barba a tutte le difficoltà e nonostante i quantitativi omeopatici di vino che riescono a ricavare dalle tradizionali pergolette dette topìe. Tra loro c’è anche Achille Milanesio, che giovanissimo non è, e nemmeno esordiente, se si considera che sono più di trent’anni che raccoglie e vinifica. Solo che, fino a poco tempo fa, la sua produzione finiva tutta in un unico ristorante della zona e non riportava neanche il nome “Carema” in etichetta; poi c’è stata la svolta: risale a poco prima della pandemia la decisione di produrre poche bottiglie de L’ Arsin – dal termine dialettale per indicare l’acino, non troppo diverso dal francese “raisin” – e di sfruttare anche la propria memoria storica per contribuire a una mappatura delle vigne magistralmente presentata da Armando Castagno nella scorsa edizione di Re-wine, l’evento dei Giovani Vignaioli Canavesani.

Cantina Togliana è diventato uno dei nomi da conoscere assolutamente, e non esagero se dico che l’ultimo millesimo de L’Arsin è tra i più grandi vini prodotti in Piemonte negli ultimi anni. Assaggiando questa 2020, sembra di essere catapultati in tutt’atro territorio: per esempio Gevrey Chambertin… Il profumo è sensazionale: un condensato di bacche, erbe officinali, cipria e fiori in appassimento. Il sorso sfoggia tempra acida alpina e leggiadria aromatica stregante: scorre dritto fino all’epilogo esplosivo su toni di erbe di montagna, fiori e spezie di ogni genere e tipo. La ‘20 del Barolo è ancora in botte, ma già adesso mi sento di dire che non darà molti vini migliori di questo capolavoro caremese!

96/100

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