A Milano, da Innocenti Evasioni, per un nuovo episodio di una saga che mi appassiona parecchio: quella dei bianchi italiani da invecchiamento. Li assaggio ogni volta che posso, li trovo spesso più interessanti dei rossi, e ho grande stima di chi li fa perché so che, per resistere alla tentazione del “presto, maledetto e subito”, ci vogliono gli attributi.
Purtroppo – o per fortuna – ci sono casi in cui l’affinamento non è una scelta, ma un obbligo, a meno che non si voglia tirar fuori un prodotto senza infamia e senza lode. Quello del Gavi è un esempio lampante: difficile trovarne una versione fresca di vendemmia che superi di molto la sufficienza. Il Cortese, come il cugino Timorasso, comincia ad acquistare carattere quando passano uno, due, tre, anche cinque anni dalla vendemmia ed escono fuori l’idrocarburo, la pietra focaia, il miele. E’ in controtendenza rispetto a quasi tutti i vitigni a bacca bianca d’Italia e del mondo, che con il tempo e l’ossidazione tendono ad uniformarsi, appiattirsi, perdere riconoscibilità. Esce fuori progressivamente e diventa Gavi con il riposo in bottiglia; sboccia pian piano e non c’è legno, o cemento, o contenitore d’altro genere che possa accorciare il processo.
Tutta questa premessa serve ad introdurre il vino che abbiamo assaggiato in mini-verticale con i piatti dello chef Tommaso Arrigoni: il Pisè de La Raia. In occasione del lancio sul mercato dell’annata 2018, il titolare Piero Rossi Cairo, con l’enologa aziendale Clara Milani, ha pensato di organizzare una piccola retrospettiva per aiutarci a comprendere il comportamento di quest’etichetta che rappresenta la punta di diamante dell’azienda.
Di La Raia forse avrete già sentito parlare: è tra le realtà più conosciute della zona di Gavi, fieramente bianchista, biodinamica dal 2007 (con certificazione Demeter), nasce dal progetto della famiglia milanese Rossi Cairo, che ha rivelato il podere diciannove anni fa, ed è una cascina tutto a tondo dove la biodiversità non è solo una bella storiella da raccontare ai clienti in visita. “ Abbiamo 180 ettari, di cui solo 47 vitati e tutto il resto a bosco, seminativo e alberi da frutto – ci spiega Clara Milani – lavoriamo a stretto contatto con un esperto di biodiversità della zona per integrare nella nostra tenuta piante che possano favorire lo sviluppo della fauna e della microflora batterica”.
Pisè è il nec plus della produzione aziendale: solo 3.000 esemplari – su 300.000 bottiglie totali – ricavati da uve provenienti da una porzione di un vigneto che ha terreni diversi rispetto al resto della tenuta: sciolti, drenanti, capaci di tenere a bada la vite e frenarne la vigoria. Il nome deriva dal termine dialettale che sta ad indicare i muretti a secco realizzate con le pietre presenti nel terreno, le stesse con cui si costruivano le abitazioni in passato. Il vino nasce da un lavoro molto preciso nel campo, dove si effettuano due vendemmie: la prima a maturazione regolare e la seconda ritardata di un mese per avere più concentrazione. In cantina si cerca di coniugare pulizia e rispetto della materia prima, ricorrendo all’inoculo di lieviti dai vigneti aziendali. “ Anni fa, quando è stato svolto l’iter per la certificazione, sono state effettuate delle microvinificazioni parcellari e sono stati selezionati cinque ceppi che utilizziamo per le vinificazioni. In questo modo riusciamo a controllare il processo, ma chiaramente non si tratta di fermentazioni del tutto regolari. Siamo a fine Novembre e abbiamo ancora delle vasche che sono nel mezzo del processo”.
Tra gli aspetti interessanti della degustazione c’è il fatto che a cavallo tra i due millesimi più “invecchiati” – 2015 e 2017 – la regia è cambiata. Clara, infatti, ha preso le redini della cantina nei primi mesi del 2017, a conclusione di un’esperienza da Ballabio in Oltrepò Pavese, e, a partire dal 2018, ha cominciato a cambiare un po’ le cose. “ Nel 2018 abbiamo deciso di introdurre una quota di legno – ci spiega – fino a quel momento il Pisè, che è stato prodotto per la prima volta nel 2010, faceva solo acciaio.” La scelta, in ogni caso, è ricaduta su botti molto grandi e non tostate di rovere austriaco che non fanno altro che aggiungere un minimo di polpa al vino. Confesso che, se non me l’avessero detto, non avrei mai indovinato la differenza rispetto alle annate precedenti.
Sul fronte della cucina, lo chef Arrigoni ha accostato ai vini cinque piatti che hanno evidenziato una grande tecnica, una ricerca dell’accostamento sorprendente che, però, non scade nell’esercizio di stile. Abbinamento fotonico quello tra la 2018 – con il suo mix di tensione e cremosità – e il crudo di scampi, cavolfiore, maionese di fois gras, cachi e foglia d’ostrica (piatto molto più rispettoso della materia prima marina di quanto il titolo farebbe pensare). Più difficile, invece, dar man forte ai ravioli di tonno con broccolo e limone fermentato per via dell’intensità umami e dell’ agrumato di fondo. Se non altro, però, tutte e tre le annate sono riuscite ad assecondare la portate ed evitare scodate metalliche che sarebbero emerse con qualunque vino più giovane.
La degustazione
Pisé 2018
“ Abbiamo deciso di decantarlo per farlo respirare – spiega Clara – rispetto alle altre annate ci è sembrato molto indietro”. In effetti, il naso a primo acchito è austero, serrato, dominato da una vena minerale quasi gessosa – da Champagne senza bolle – che s’intreccia con toni di lemon zest, pepe bianco, erbe aromatiche, i cenni di pietra focaia che costituiscono il marchio di fabbrica del Gavi. Pian pian esce fuori qualcosa di più dolce: un ricordo di mela matura e marzapane che torna coerente all’assaggio, rimpolpa la progressione dritta e smussa un pochino gli spigoli dell’ allungo rinfrescante, salino e pietroso, per niente accomodante, ma senza sbavature.
93+/100
Pisé 2017
Il primo impatto è decisamente diverso: la dolcezza della susina gialla e del miele d’acacia emerge subito insieme a qualche cenno fumè. Pian piano viene fuori anche la parte speziata – curcuma, cumino, cannella – e di nuovo la matrice rocciosa, che poi è protagonista di un sorso ancor più dritto e salmastro, teso e sferzante, un pelino più semplice del precedente, ma comunque dinamico e accattivante.
92/100
Pisè 2015
Regia diversa, profumo più dolce e qualche traccia di evoluzione. Aromi di mela cotogna e pasticceria alla crema, senape e tabacco biondo rendono un senso di pienezza e maturità. Il sorso potrebbe giocare sulle stesse tonalità e, invece, spinge di nuovo sulla salinità e sull’agrume che smorza i ritorni mielati. E’ appena più scomposto, ma sempre scorrevole, sfaccettato, inequivocabilmente Gavi nel finale lungo che sa di miele e di pietra focaia.
92/100
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