Messe da parte le esperienze da mostri sacri come Azelia, Giovanni Rosso, e un altro produttore leggendario di cui parlerò a breve, rimangono del mio soggiorno in Langa a inizio anno i racconti frammentari di quattro incursioni in aziende più sobrie, meno quotate, che, però, rappresentano il volto più autentico, più genuino del Barolo, del Barbaresco e del Roero.
Queste realtà non rientrano nel Walhalla del vino mondiale, non strappano premi e punteggi stratosferici a destra e manca, non vendono i loro vini a peso d’oro, ma continuano ad offrire agli appassionati che se ne fregano delle griffe un prodotto affidabile, costante, tradizionale, territoriale, senza orpelli e senza forzature. Sono, in fin dei conti, le cantine sulle quali puntare se si vuole familiarizzare con il Nebbiolo nella sua accezione più classica – ovvero al netto delle bizzarrie stilistiche legate alle esigenze di mercato – o se, più semplicemente, si vuole godere senza svenarsi.
Le cantine da scoprire
Schiavenza
Ci sono capitato nel bel mezzo di una nevicata nella prima settimana di Febbraio, ma, se potessi tornare indietro, la sceglierei come prima azienda da visitare anzi tempo per farmi un’idea di cos’è il Barolo “tradizionale”. Schiavenza è una cantina storica, solida, concreta, che da 65 anni a questa parte segue sempre lo stesso protocollo: conduzione della vigna senza diserbanti e prodotti di sintesi, fermentazione spontanea in vecchie vasche di cemento ripristinate, affinamento in botti di grandi di Slavonia, niente filtrazione. La cascina, peraltro, si trova proprio sotto il Castello di Serralunga d’Alba e ospita anche una trattoria che fa dei tajarin da quattro stelle Michelin. Quanto ai vini, c’è veramente poco da dire: sono didattici, anti-modaioli, austeri come da canone “serralunghiano” e, a mio modesto parere, irresistibili. Mantengono un prezzo abbordabile e regalano soddisfazioni anche in annate complesse come la ‘14 e la ‘17.
Cascina Fontana
La conoscono in molti per le variopinte etichette del Nebbiolo senza solfiti distribuito da Triple A, ma in realtà Cascina Fontana ha molto da offrire aldilà di quel prodotto “pop”. Gli enotecari di zona annoverano i vini di quest’azienda con sede a Perno, frazione di Monforte, e vigne all’Annunziata di La Morra e a Castiglione Falletto, tra quelli su cui investire oggi perché domani potrebbero costare il triplo o il quadruplo. Del resto la filosofia aziendale estremamente non interventista – al limite del “naturale” – è in linea con lo “zeitgeist” e lo stile ricorda quello di ultra-tradizionalisti come Viglione, Accomasso e Bartolo Mascarello (che, per il momento, spuntano cifre decisamente più alte). Il Barolo nei millesimi 2015 e 2016 è poesia liquida, ma anche la Barbera, nelle ultime annate, comincia ad avere tanti fans tra chi preferisce energia e tensione alla tracotanza fruttata e boisè di altri vini della tipologia.
Rizzi
Si dice che da quest’azienda situata a Treiso, proprio sopra Alba, si ammiri uno scorcio mozzafiato sulle colline del Barbaresco. Purtroppo non posso dare conferma, perché Febbraio è mese di nebbie fittissime e in quella giornata in particolare non si vedeva una ceppa. Sta di fatto, in ogni caso, che Jole Dellapiana è tra le persone più gentili e disponibili che mi sia capitato d’incontrare in Langa, e i vini che produce insieme a suo fratello stanno al Barbaresco come quelli di Schiavenza stanno al Barolo. Tesi, incalzanti, precisi e mai troppo concentrati, il Nervo, il Pajorè e il micro-cru Vigna Boito sono campioni di purezza, finezza e scorrevolezza in un areale dove sono ancora parecchie le aziende che fanno un uso abbondante – e in certi casi sfigurante – del legno piccolo, nuovo e molto tostato.
Alberto Oggero
La Rive Gauche del Tanaro ha mantenuto quella dimensione rurale, quell’aspetto bucolico che le zone del Barolo e del Barbaresco hanno perso quasi completamente. Il paesaggio è decisamente più selvaggio e i vignaioli della zona sono mediamente più alla mano dei cugini langaroli. Alberto Oggero è uno dei non pochi giovani residenti in quest’areale che hanno deciso di dedicarsi full-time al recupero delle vecchie vigne nelle quali i genitori lavorano part-time. I suoi appezzamenti sparsi per questi declivi veramente suggestivi sfiorano in alcuni punti gli 80 anni di età e danno vita a vini da garagista duro e puro, prodotti senza additivi di alcuna sorta, ma sempre puliti e piacevoli. Peraltro Alberto condivide quest’approccio “sottrattivo” con gli amici di Valfaccenda e Cascina Fornace, insieme ai quali ha fondato SoloRoero, collettivo che ha come obiettivo il mutuo sostegno tra piccoli agricoltori e l’emancipazione di un brand spesso associato dalla massa ai bianchi pallidi, beverini, un po’ impersonali, prodotti in quantità industriale da parcelle a fondovalle.
I vini
Alberto Oggero – Roero Bianco 2019
Un Arneis beverino, ma non scontato, che snocciola aromi lineari, immediati di pera e salvia, pietra focaia, un tocco di lemograss e un pizzico di pepe bianco a rimarcare lo stile “naturale”. Offre una dinamica gustativa altrettanto precisa e coincisa, con una spinta acida a dare sostegno e un finale sfizioso su toni di lemon zest ed erbe aromatiche. Glou glou.
87/100
Alberto Oggero – Roero “Sandro D’ Pineta” 2019
Da vigne vecchie su terreni molto sabbiosi, un Roero rosso de soif che non fa legno e vede protagonista un frutto estremamente succoso – fragola, giuggiola – qualche traccia vinosa e uno spunto di erbe aromatiche. Lo si può raffreddare un po’ e servire su di un cacciucco o su di un brodetto all’anconetana con qualche fetta di pane tostato, anche perchè il binomio di frutto e tannino sofficissimo lo rende più vicino a un Pinot Nero giovane che al classico Nebbiolo.
89/100
Cascina Fontana – Barbera d’ Alba 2017
Fascino d’antan di un vino snello e schietto, che profuma di fruttini aciduli e cuoio, liquirizia e grafite, e procede croccante ed immediato, con una sferzata rifrescante d’agrume rosso e un ritorno “sauvage” a dare carattere. E’ una Barbera senza sovrastrutture e senza traccia di rovere che può far l’amore con plin al tovagliolo e tajarin al ragù di salsiccia di Bra.
90/100
Rizzi – Langhe Nebbiolo 2018
Un Langhe Nebbiolo “di compromesso”: non è un piccolo Barolo, ma neanche il classico nebbiolino effimero da sbicchierata selvaggia. Passa un anno in botte e, al momento dello stappo, rilascia profumi di cipria e rosellina, arancia sanguinella, lampone, che preannunciano un sorso di meravigliosa succosità e piacevolezza, con un tocco ematico a dare un pelino di complessità in più e un finale delicato in cui riecheggiano frutto e fiore. Credo di essermene scolate all’incirca tre bottiglie – forse quattro – nell’arco di poco di più un mese…
90/100
Schiavenza – Barolo Prapò 2017
Pensi alla ’17, annata rinomatamente bollente, e t’immagini subito dei Baroli con frutto cotto e morbidezza da Merlot del Nuovo Mondo. Niente di più sbagliato (grazie a Dio!): Prapò, come tanti altri Baroli di Serralunga, è sorprendentemente austero, serrato: sa di chinotto ed erbe officinali, grafite, tabacco, cuoio. Il tannino è un pochino irruente in questa fase, ma che scorrevolezza, ragazzi! … Non è di certo il vino ideale per chi ama il frutto, ma un sorso così tonico, preciso, potente e al contempo privo di sbavature, te lo giochi su qualunque pasta con sugo di carne sostanzioso (per esempio un ragù di braciole…)
91/100
Rizzi – Barbaresco Vigna Boito Riserva 2014
Altra annata “sciagurata” – per motivi diametralmente opposti – in cui quasi nessuno ha prodotto la Riserva. Sta di fatto che le uve di questa piccola parcella – mi ha spiegato Jole – erano in ottima salute e per questo si è deciso di produrre comunque il vino di punta aziendale. Il risultato è un Barbaresco affascinante, delicato come il clima freddo impone, ma non evanescente. Il profumo è di mela rossa, erbe aromatiche, lampone e mirtillo rosso, con un’idea lieve di carne cruda e un tocco d’incenso. Il sapore è suadente ed arioso, succoso di frutto non troppo maturo e sostenuto da un tannino perfetto. Tutti i vini di Rizzi fanno forza sulla finezza più che sulla sostanza, ma questo supera gli altri in termini di souplesse gustativa.
92/100
Schiavenza – Barolo Cerretta 2017
Versione molto affascinante di un Cru che fonde la potenza, la ricchezza di Serralunga con una parte aromatica d’insolita soavità. L’affinamento in botti leggermente più piccole – 2000 litri, mica 225! – lo rende un po’ più espansivo del Prapò, con un frutto che ricorda la composta di mora e poi grafite, arancia sanguinella, balsamicità a volontà. Il sorso è la conferma che Serralunga può anche dare vini di grazia e di levità: abbina un tannino potente, ma perfetto, con una parte golosa di frutti e lunghi rimandi speziati di fondo. Gagliardo!
92/100
Cascina Fontana – Barolo 2016
Un blend ” a l’ancienne” di uve da Villero e Mariondino in Castiglione Falletto e Giachini (vigna confinante con le Rocche dell’Annunziata) in quel di La Morra. La dice lunga sul senso della vecchia miscela: coniuga, infatti, la dose generosa di frutto dei cru lamorresi con la profondità terragna e “minerale” di Castiglione Falletto. Profuma di vetiver e sandalo, ribes rosso e kirsch, arancia sanguinella, sottobosco, spezie orientali in crescendo. E’ potente, ma senza peso, dinamico e travolgente, sostenuto da un tannino meraviglioso e dall’agrume che incalza il frutto e rafforza i rimandi aromatici. Chiude lungo e saporito, con un sbuffo animale in stile Borgogna e un rintocco balsamico ammaliante. I titolari delle enoteche in zona suggeriscono di comprarlo adesso – se lo si trova – perchè di doman non v’è certezza. Il timore è che in troppi, a breve raggio, scoprano che per circa 60 euro – forse qualcosa di meno – si può bere un Barolo “senza Cru” che dà testa ai campioni prodotti dalle vigne sacre…
95/100
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