La Rive Gauche del Tanaro è un posto affascinante che merita più attenzione. Lo dicevo già due anni fa, nell’ambito di una visita a Malvirà, seguita a breve giro da un’altra incursione da Alberto Oggero (le trovate qui e qui). Lo ribadisco all’indomani di una degustazione organizzata in occasione di Nebbiolo nel Cuore, che ha avuto come protagonisti proprio un gruppo di produttori roerini emergenti.
Il Roero è un territorio meraviglioso dal punto di vista paesaggistico e ancora “quasi vergine”, perché ha mantenuto un equilibrio tra coltivazioni ed aree boschive che nella vicina Langa è andato completamente perduto. L’asticella della qualità media dei vini in zona si è alzata parecchio negli ultimi anni; il numero di aziende degne di nota è cresciuto non poco. Eppure la denominazione nel suo insieme fatica ancora ad emergere e le ragioni sono essenzialmente tre:
– L’ avvento della viticultura industriale, che ha spinto i produttori roerini ad abbandonare i bellissimi crinali spioventi per piantare vite nelle più fertili e comode zone basse, dove, purtroppo, le condizioni climatiche non consentono produzioni qualitativamente rilevanti. C’è stata un’inversione del trend negli ultimi anni, ma il grosso dei vigneti è ancora nelle aree meno scoscese e più facilmente meccanizzabili.
– La vicinanza di Barolo e Barbaresco, due denominazioni ineguagliabili che gettano un’ombra non solo su questo areale confinante, ma su tutto il resto della viticoltura piemontese. Dal continuo confronto tra Davide e due Golia è emerso un complesso d’inferiorità che ha comportato una certa indolenza e un accumulo di ritardo nella rivoluzione che ha investito il vino piemontese a partire dagli anni 90’.
– la presenza di un cospicuo numero di produttori langaroli che continuano ad impiegare uve roerine per produrre i loro (ottimi) vini base, ovviamente senza nominare il Roero nemmeno in scheda tecnica.
C’è poi una quarta ragione, e sta nei tentativi maldestri di scimmiottare la Langa, cercando una concentrazione, una ricchezza nei vini che non si può ottenere naturalmente in un territorio dove la sabbia la fa da padrone nel suolo (al punto che, passeggiando tra le vigne, sembra di essere su di un campo di beach volley della riviera romagnola!). Alcuni produttori continuano a caricare i loro rossi di legno, ad estrarre tutto l’estraibile, finendo per tirar fuori vini sgraziati che cominciano a ossidarsi a distanza di uno o due anni dalla vendemmia.
Per fortuna, la quota di Roero “maldestri” è diminuita in favore di etichette che rispettano i canoni del territorio. Delle dieci referenze in degustazione, almeno sei hanno messo ben in evidenza la prerogativa principale del Nebbiolo roerino, ovvero la scorrevolezza, la freschezza e la finezza di un vino, che, nei migliori casi, rappresenta l’anello mancante tra i migliori Langhe Nebbiolo e Barolo e Barbaresco. Una buona bottiglia di Roero non ha bisogno di riposo: garantisce beva fluida e disinvolta dal momento della commercializzazione, acidità pimpante e sottigliezza tannica che la rende versatile nell’abbinamento con la cucina piemontese e non. Questo non significa, però, che non possa evolvere bene: stiamo pur sempre parlando di Nebbiolo affinato in legno. Di certo i Roero non sono vini da tenere da parte per trent’anni al pari di un Barolo di Serralunga, ma rimangono in forma per un almeno una decina d’anni dalla vendemmia.
I vini della masterclass di Riserva Grande:
Battaglino – Roero Riserva Colla 2016
Una Riserva da singola vigna che mostra già dal naso un certo spessore, con sprazzi di tostatura da legno frammisti a liquirizia, chinotto, more e gelsi. Non è l’espressione più didattica che si possa incontrare, ma ha equilibrio più che discreto tra cremosità da rovere, polpa fruttata e piglio acido energizzante. Chiude lungo, su toni speziati.
90/100
Cascina Monpissan – Roero Karma 2016
Cantina che prende il nome da Monpissano, uno dei grandi Cru di Canale, forse il comune più importante di tutto il Roero. Dispensa profumi delicati e soffusi: fragola, cannella, rosa canina, erbe officinali. E’ gentile e garbato, agile e succoso, un po’ più semplice del previsto, ma preciso e lineare.
89/100
Carlo Casetta – Roero 2020
Una delle rivelazioni di questa degustazione: parliamo di un produttore alla seconda vendemmia, che gestisce pochi ettari in quel di Montà d’Alba, comune dove i suoli contengono un po’ di argilla in più rispetto al resto della zona. Il profumo è semplicemente meraviglioso: gelatina di mirtilli e anice stellato, liquirizia, acqua di rose, spezie in crescendo. Ha la freschezza salivante del tarocco siciliano, abbinata a tannini setosi e un retro-olfatto balsamico e floreale ammaliante. Grande scoperta!
93/100
Bric Castelvej – Roero Panera Alta Riserva 2016
Purtroppo questa è l’unica etichetta della serie che evidenzia la tendenza allo strafare di cui sopra. Vaniglia, mentolo e caffè coprono i connotati classici del Nebbiolo, anticipando un sorso piuttosto monocorde.
86/100
Cascina Goregn – Roero Profumo Viola 2020
Non particolarmente espressivo sulle prime, rivela gradualmente aromi di drupe, violette e sottobosco. Ha una dinamica di bocca accattivante, incentrata sull’acidità dritta e su di un tannino abbastanza scalpitante che cadenza il finale energico e croccante. Perfetto con un tajarin al ragù di salsiccia di Bra o con un rigatone all’amatriciana.
91/100
Filippo Gallino – Roero Sorano Riserva 2015
Il vino più maturo della batteria mostra un bel corredo aromatico che mescola accenti fruttati, refoli balsamici e qualche idea terragna. Carnosità e spessore non ne inficiano la beva, anzi convince proprio per equilibrio tra polpa e scorrevolezza data dall’acidità ancora in lizza. Goloso.
91/100
Mario Costa – Roero Riserva Morinaldo 2017
Da annata complicata, trascende un po’ il solito calore della 2017 e offre aromi allettanti di fiori ed erbe che richiamano un Vermouth. Si allarga ed addolcisce un po’ in bocca, non riuscendo ad eguagliare i vini della ‘16 in termini di slancio, ma rimane comunque abbastanza godibile.
88/100
Giacomo Barbero – Riserva Valmaggiore 2017
Valmaggiore è un Cru di tutto rispetto, più frequentemente rivendicata dai produttori di Langa sui loro Nebbiolo d’Alba (sic!) che sulle etichette di Roero. In effetti, questo vino smarca i precedenti e sfoggia complessità non indifferente, con lampi di legno arso, nocciola tostata, sottobosco. E’ subito più tannico e austero, quasi “barolesco”. L’annata bollente ha accentuato la sensazione calorica, ma rimane comunque preciso, dinamico, salino in chiusura.
92/100
Careglio – Roero Riserva 2017
Esordio su note di fragola matura, liquirizia, spezie dolci e piccanti. E’ il più vivace dei 17, ha grazia e garbo, acidità adeguata che dà sostegno e conduce fino all’allungo fruttato e appena terroso.
90/100
Cascina Lanzarotti – Roero Carlinot Riserva 2016
Si ritorna a un profilo classico, da millesimo felice, con l’ultimo vino della batteria, che gioca su sensazioni di liquirizia e anisetta, ciliegia e pot-pourri, con giusto qualche accento terroso. Ha una bocca leggermente segnata dal rovere, con tannini fitti e acidità discreta, finale variegato e di buona gittata. Ben fatto.
90/100
Interessante, complimenti per l’articolo
Grazie
Complimenti per l’articolo molto ben fatto! Pensavo di trovare almeno tre cantine che conosco e lavorano bene in Roero: Angelo Negro, Matteo Correggia e Giacomo Vico. Cosa ne pensi? Grazie!
Grazie. Sono buoni produttori che, però, non abbiamo avuto di assaggiare negli ultimi tempi.