A Narni per l’ultima degustazione del 2021. Protagonista un vino con un nome che dice già tutto: il Ciliegiolo. Un vitigno che troviamo più o meno ovunque tra Lazio, Toscana e Umbria, ma che solo a Narni esprime la freschezza, la fragranza della drupa appena colta e dà vita a bottiglie da svuotare d’un fiato.

In Italia abbiamo territori che si sono affermati per merito di un movimento, di un gruppo di viticoltori, e altri indissolubilmente legati alle intuizioni di un solo personaggio rivoluzionario. Penso a Mario Incisa della Rocchetta per Bolgheri, Walter Massa per i Colli Tortonesi, Stefano Amerighi per Cortona, Damiano Ciolli e Letizia Rocchi per il Cesanese di Olevano Romano. Narni rientra in questa categoria: se esiste sull’atlante del vino italiano, è grazie all’impegno straordinario di una figura chiave: Leonardo Bussoletti, ex commerciante di vino che, circa quindici anni fa, ha insediato la sua azienda vinicola nella campagna intorno al paese e ha cominciato a vinificare il Ciliegiolo di Narni in purezza. Prima di lui, solo la Cantina Sociale Colli Amerini; tutti gli altri produttori di zona si limitavano ad usarlo come uva da taglio per i vini più semplici, preferendo ricavare le (poche) etichette più ambiziose dalle varietà internazionali.
Oggi Leonardo è presidente dell’Associazione dei Produttori di Ciliegiolo di Narni, un collettivo composto da sei aziende che, da sette anni a questa parte – escluso il 2020 per ovvi motivi – si avvalgono della collaborazione di Carlo Zucchetti, l’enogastronomo con il cappello, per l’organizzazione di un evento in cui vengono presentati tutti i vini del comprensorio. “ E’ il modo migliore per far conoscere un territorio giovane e allo stesso tempo antico – spiega Bussoletti – qui a Narni facciamo vino da tempo immemore, ma solo negli ultimi anni abbiamo cominciato a dare al Ciliegiolo l’attenzione che merita.”
Narni è il paese più grande dei Colli Amerini, al confine tra Lazio e Umbria e a metà strada tra Roma e Assisi. Un borgo medievale quasi intatto arroccato su di un colle che guarda due valli e si sviluppa su due versanti: il primo sormontato dai palazzi e dai campanili della città vecchia, il secondo dominato dalla Rocca degli Albornoz. Il primo nucleo è stato fondato dalla civiltà osco-umbra e poi conquistato intorno al 300 a.c. dai romani. Il vino in questa zona si produceva già all’epoca, e piacerebbe a tutti dire che gli antichi fossero ghiotti di Ciliegiolo. In realtà, però, non abbiamo documenti che ci permettano di dire con certezza quand’è arrivato il vitigno da queste parti. Le teorie sono diverse e contrastanti: secondo alcuni studi, infatti, il Ciliegiolo esisterebbe nelle valli umbre e toscane da prima del 1590 – anno in cui si ha traccia di un vitigno chiamato “ciregiuolo” – e sarebbe addirittura progenitore del Sangiovese (lo confermerebbero alcuni studi dei primi anni 2000); secondo altri, invece, sarebbe stato introdotto intorno al 1870 da pellegrini in ritorno da Santiago di Compostela. Certo è che non ha patria d’elezione all’infuori di questa e di Pitigliano in Maremma, dove, però, si esprime in maniera completamente diversa. Solo a Narni prende il sapore della ciliegia fresca, una costante in quasi tutte le referenze degustate in quest’occasione.
Dalla degustazione emerge chiaramente il perché di questa riscoperta tardiva: il Ciliegiolo è l’antitesi del modello di vino in voga negli anni 90’ e nei primi 2000. Non è uno “showstopper”, non eccede in muscoli, tannini e calore; è delicato, in medio corpo, un po’ ruspante in certi casi, ma schietto e beverino, particolarmente accattivante quando è vinificato in acciaio o cemento e rilasciato non oltre il secondo anno dalla vendemmia. Ha nell’immediatezza il suo grande punto di forza. Può anche affinare in legno per un periodo più prolungato e dare vini diversi, più ambiziosi e impegnativi, ma il rischio è che perda i suoi connotati e diventi una sorta di Sangiovese meno raffinato e meno longevo.
Per permetterci di provare il Ciliegiolo anche sul cibo, i produttori hanno deciso di far scendere in campo un’ eccellenza della zona: i fratelli Serva del bistellato La Trota di Rivodutri, che si trova a circa tre quarti d’ora di auto da Narni. Sandro e Maurizio Serva hanno creduto più di tutti gli altri – ristoratori umbri compresi – nel progetto Ciliegiolo. Dalla prima all’ultima edizione, la regia del pranzo post-degustazione è stata sempre affidata a loro. E, in questo caso, dalla cucina, riallestita negli ambienti della Rocca Albornoz, è uscito fuori un quartetto di piatti forti che hanno reso l’abbinamento con il Ciliegiolo decisamente più ambizioso. Certo, sarebbe bastato un piatto di strangozzi al ragù per esaltare certe doti, ma così si è dimostrato che l’accoppiata vino semplice – pietanza rustica, per quanto consigliabile, non è tassativa. Non è un caso che ultimamente i Pinot Nero con meno affinamento e i Beajoulais compaiano più frequentemente nei wine pairing degli stellati dei vari Barolo, Brunello e affini: di fatto l’alta cucina, come il vino, ha imboccato della via leggerezza, della riscoperta del vegetale e delle acidità come elemento essenziale. L’ uovo di Carciofo, la bisque di Gamberi di fiume, elicriso e strigoli e i fagottini di coppa, aghi di pino e buccia di limone dei fratelli Serva sono esempi lampanti di questo trend. I vari Ciliegioli sono riusciti ad esaltarli o assecondarli con la loro acidità garbata, ben integrata da subito, che, unita al tannino mai troppo spigoloso, li rende particolarmente versatili.
I vini:
Leonardo Bussoletti – Ciliegiolo di Narni 05035 2020
Il “benchmark” del Ciliegiolo di Narni: il numero riportato in etichetta è il codice postale del comune. Un vino semplice, ma non banale, appena rustico, ma non irruente. Il profumo è prettamente fruttato e vinoso, con lampi di pepe nero ed erbe disidratate; il sorso incentrato sulla ciliegia fragrante e su di una discreta acidità che conferisce ritmo e agilità alla progressione schietta e senza orpelli. Buono da sbicchierare da solo all’aperitivo con i salumi, o con piatti caserecci: gli strangozzi li ho già menzionati, ma penso anche ad una “banale” coscia di pollo al forno.
88/100
Ruffo della Scaletta – Ciliegiolo di Narni 2019
Anche qui sentori che suggeriscono allegra spensieratezza e grande scorrevolezza: ribes rosso, melagrana, violetta ed erbe aromatiche. Impressioni confermate da un sorso essenziale, relativamente leggero e un pelino amarognolo nel finale comunque gradevole. Altra versione classica e senza fronzoli da abbinare alla cucina di tutti i giorni.
88/100
Tenuta Cavalier Mazzocchi – Ciliegiolo di Narni Spiffero 2020
Sulla stessa linea d’onda dei primi due, ma qui c’è una parte più scura, boschiva, che lo rende appena più profondo. Il frutto integro e croccante torna, invece, protagonista del sorso equilibrato, succoso, che insiste in chiusura sulle stesse sensazioni terrestri trovate al naso.
88/100
Tenuta di Fabbrucciano – Ciliegiolo di Narni 2019
Incipit su toni selvatici e ferrugginosi che ricordano a tratti un buon Chianti Classico; poi vira su soliti toni di fruttini aciduli, mosto fresco e violetta, che riecheggiano sul fondo di una dinamica centrata e lineare, sempre segnata da questo ritorno sanguigno in stile Sangiovese giovane. Appena più complesso dei precedenti, ma sempre disinvolto e di buona immediatezza.
89/100
Sandonna – Ciliegiolo di Narni Bonadea 2018
Versione con passaggio in legno grande per 12 mesi di un’azienda biodinamica seguita da Federico Starderini, enologo “non interventista” e produttore in Toscana del Cuna, uno dei miglior Pinot Noir della Penisola. La concentrazione è palesemente più importante e il quadro aromatico vira su note più evolute di amarena, mentolo, spezie dolci e humus. Potrebbe sembrare un “vinone” atipico e, invece, smentisce le attese con un sorso sicuramente più morbido e strutturato, ma sempre scorrevole, spigliato, ampio nella chiusura su toni balsamici e floreali.
90/100
Leonardo Bussoletti – Ciliegiolo di Narni Grifo di Narnia 2018
Si dice che il nome delle “Cronache di Narnia” derivi di Narni… e in effetti è così. Ma è probabile che l’autore C.S. Lewis non abbia mai messo piedi in paese: il titolo della saga fantasy lo coniò, infatti, mentre scrutava un’antica mappa dell’Italia in epoca medievale. In ogni caso, gli aneddoti su “Narnia” tornano spesso utili ai produttori per rendere più accattivante lo storytelling, soprattutto se il vino in questione è destinato ai mercati internazionali come nel caso di questa nuova etichetta di punta del pater nobilis del Ciliegiolo. Lungi dall’essere il classico fine wine condito di frutto sovramaturo e legno creato per ammiccare i palati “nuovomondisti”, il Grifo propone, piuttosto, un bel binomio di stratificazione aromatica e raffinatezza, con aromi di arancia rossa e ribes, un’intrigante cornice floreale e un ricordo d’incenso à la Pinot Noir. E’ di medio corpo: sicuramente non bombastico, ma più tridimensionale degli altri vini provati in quest’occasione. Scorre sul filo della spinta salina e del tannino ben estratto, regalando soddisfazioni in accoppiata con il piccione, datteri e frutto della passione. Il prezzo importante – oltre 30 euro a scaffale – è coerente con l’ambizione di andare oltre il solito schema del Ciliegiolo e cercare di aprire nuovi orizzonti.
92/100
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