La ristorazione sprofonda di nuovo nell’abisso. Con la cancellazione della zona gialla, bar e ristoranti in tutta Italia – fatta eccezione per la Sardegna – chiudono fino a data da destinarsi.
E’ l’ennesimo colpo infierito ad un comparto in ginocchio, che probabilmente non riuscirà più a rialzarsi. E il paragone con i paesi dove la vaccinazione procede a ritmo spedito è schiacciante: mentre da noi le serrande si abbassano di nuovo, negli Stati Uniti ci si prepara alla riapertura definitiva con una riduzione della capacità del 25%.
Del resto, le statistiche non lasciano nulla ad intendere: il 19,3% della popolazione americana ha ricevuto la prima dose di vaccino per il COVID-19, il 10,2% è completamente vaccinato; nel Regno Unito, invece, c’è un immenso gap tra chi ha fatto il primo giro e chi li ha fatti entrambi – 34,5% contro 2% – ma i risultati cominciano già a vedersi: i casi sono sotto quota 10.000 e Londra si prepara per l’uscita dal lockdown (fonte: Bloomberg). La situazione europea, se rapportata a quella dei paesi anglosassoni, è assolutamente sconfortante: Italia, Spagna, Francia, Grecia, perfino le virtuose Danimarca, Finlandia e Svezia, non arrivano alla soglia psicologica del 10% di prime dosi. La terza ondata infuria in tutto il continente, i lockdown vengono prolungati, nuove restrizioni sono introdotte in aree in passato considerate “virtuose”. Come riportato in un articolo del Corriere della Sera di pochi giorni fa, l’Unione Europea ha scelto anche questa volta la “via della correttezza procedurale”, e il risultato è che, a distanza di un anno dalla prima ondata, non riusciamo ancora ad intravedere la luce in fondo al tunnel.

In tutto questo, i ristoratori continuano ad essere il capro espiatorio, le vittime sacrificate sull’altare della pandemia. Il CTS ha ribadito più e più volte la ragione della scelta di serrare il canale Ho.Re.Ca: le persone, per andare al ristorante o al bar, devono spostarsi, e con loro si sposta il virus. Chiudere bar e ristoranti comporta una drastica riduzione della mobilità che ha come risultato una brusca frenata del contagio. Scelta logica, dunque, ma quanto costa piegare la curva? Si parla di una perdita di 40 milioni di euro a settimana nel solo Lazio e di 400 milioni in tutta Italia per il periodo di Pasqua. E non sono solo le attività di somministrazione ad essere penalizzate: basta dare un’occhiata agli ultimi dati di Coldiretti per farsi un’idea dell’impatto che le misure hanno avuto sulla filiera: 300 milioni di chili di carne bovina, 250 milioni di chili di pesce e frutti di mare e circa 200 milioni di bottiglie di vino non sono mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali, con decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori (fonte: Agricolae) Il 2021 doveva essere l’anno della ripartenza, ma troppe cose sono andate storte: il piano vaccinale non è decollato, le varianti sono dilagate. Ora come ora, possiamo solo sperare che questo sia l’ultimo sacrificio, e che Draghi faccia pressing sull’UE come ha promesso, perché è evidente che con il virus non si convive e che, pertanto, il futuro della nostra ristorazione – e dell’agroalimentare – è indissolubilmente legato alla vaccinazione.
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