Vini naturali per le feste: dieci bianchi (e orange) fenomenali

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Perchè bere naturale a Natale e Santo Stefano? Be’, perché di pesante per stomaco, fegato e testa c’è già la suocera (se abita nello stesso comune): meglio non infierire con un vino non genuino. E poi per ravvivare con guizzo di follia due giorni di festa che per molti si prospettano un po’ più mesti e monotoni del solito.

In realtà l’idea di fare questa lista è venuta da una richiesta di un nostro collega londinese, che ci ha chiesto di elencargli dieci bianchi e dieci rossi naturali italiani per cui valga la pena di vivere. Visto che la lista dovevamo farla per lui, abbiamo deciso di renderla pubblica e basarla sui migliori assaggi di vini “senza additivi” di quest’anno della pandemia.

Cominciamo con bianchi e orange e proseguiremo la prossima settimana con i rossi. Abbiamo omesso i punteggi perché sappiamo che non piacciono a molti amanti della tipologia, ma non c’è stato verso di rinunciare al ranking. Del resto, dopo aver commentato le classifiche degli altri, ci sembra giusto fare una nostra “greatest hits”… al costo di beccarci una valanga di critiche….

La lista

10. Oppeddentro – Marche Bianco Valdè 2018

Da una vigna quarantenne a Cupramontana, Grand Cru dei Castelli di Jesi, un Verdicchio con piccolo saldo di Trebbiano prodotto da un’azienda debuttante con sede nel centro storico di Maiolati Spontini. E’ un vino fatto con i piedi – nel senso che la pigiatura avviene “ a l’ancienne” – e non arriva a 50 mg/l di solforosa. Spicca tra i pezzi da novanta bevuti in una serata da Zero a Bra (CN) per il nitore e la tipicità dei profumi – mandorla amara, limone candito, erba falciata – e per l’immediatezza del sorso tonico, incalzante, senza orpelli e senza sbavature. Le poche, pochissime bottiglie – circa 3.000 – vanno via in un soffio, ma potete scrivere all’enoteca in questione e chiedere se ne hanno qualcuna da parte…

oppeddentro.com

9. La Visciola – Passerina del Frusinate Donna Rosa 2015

La Passerina non se la fila quasi nessuno: se la bevono giusto gli abitanti del Lazio (non dite laziali!) quando vanno a mangiare il pesce sul litorale. Eppure, se finisce nelle mani di un pazzo come Piero Macciocca, il Mario Brega del Frusinate, diventa sfiziosa, ammiccante e invecchia come un Fiano o un Verdicchio. Stappata in una degustazione-non degustazione in cantina – “sotto i due litri è un assaggino” – Donna Rosa 2015 tira fuori aromi di cedro candito, lemongrass, pesca tabacchiera e pietra focaia da far impallidire un buon Riesling Kabinett. Al palato offre polpa e tensione acido-sapida, ritorni erbacei e un tocco affumicato in chiusura. Con i fritti natalizi della tradizione romana – verdure, fette di mela, baccalà – è “’na poesia”.

8. Castello di Lispida – Amphora Bianco 2017

E che non ce lo metti un vino fatto in anfora?! Questo, poi, è veneto, ma in una degustazione alla cieca l’ho scambiato per bianco carsico. E in effetti i vitigni sono quelli giusti: Ribolla e Friulano, ma piantati intorno a un castello a Monselice, nel Padovano. Qualcuno di molto più fissato di me con il naturale l’ha trovato un po’ troppo prevedibile. Io, invece, ritengo che sia un vino affidabile, di quelli che piacciono anche a chi non se ne intende (suocera compresa). Dorato, ma non aranciato nel colore, tira fuori aromi avvenenti di albicocca, zafferano, erbe aromatiche, e in bocca propone una gustativa robusta, ma non grassa, con un guizzo di tannino solleticante da leggera macerazione e un finale dal timbro minerale. Rischio emicrania scongiurato: la solforosa totale si attesta sui 39 mg/L.

www.lispida.com

7. Amorotti – Trebbiano d’Abruzzo 2016

Al vicino emergente di Valentini dedicheremo a breve un articolo intero. Nel frattempo, spendiamo due parole sul fantastico Trebbiano 2016 bevuto al Vecchio Teatro di Ortona (CH). Valentiniano è sicuramente il metodo di produzione: fermentazione spontanea in botti grandi vecchissime e nessuna filtrazione. Comune al più iconico dei bianchi abruzzesi è anche la nota di testa boschiva, terragna, che, però, passa in secondo piano nel sorso snello e sferzante, imperniato su di una spinta acido-sapida travolgente. Sono disposto a scommettere sul fatto che tra qualche anno sarà sulla bocca di tutti….

Amorotti 1521

6. Tenuta Terraviva – Pecorino Ekwo 2018

Anche questo bevuto in Abruzzo: per la precisione da Manetta, insegna storica in quel di Roseto degli Abruzzi. E’ un Pecorino nudo e crudo – no macerazione, no legno, no filtrazione – che guarda alla Mosella con i suoi soffi minerali frammisti a pesca, rosa gialla, erbe officinali a go-go. Il sorso ricalca le stesse sensazioni e va a nozze con la chitarrina (da quattro stelle Michelin) in foto. Vi chiederete che c’azzecca un vino come questo con il natale… be’, non so da voi, ma da me la cena della vigilia è a base di pesce. E poi va benissimo come aperitivo prima di passare a qualcosa di più tosto!

Tenutaterraviva.it

5. I Clivi – Ribolla Gialla 2018

Di media la Ribolla viene meglio “orange”, ma se ne trovano anche versioni senza bucce che sanno dire la loro. Questa dei Clivi, per esempio, regala una botta di freschezza che giova allo spirito: sa di salvia, timo, anice, oltre che mandorla, lime, iodio a profusione. In bocca è cremosa e allo stesso tempo sferzante, dolce-citrina di limone candito e guizzante nel finale vispamente ammandorlato. Non fa una piega: è pulitissima, ma non più “lavorata” della Rebula tenuta sulle bucce per mesi da un produttore sloveno. La famiglia Zanusso de I Clivi, infatti, non usa prodotti di sintesi e non filtra: aggiunge solo un po’ di solforosa per garantire la stabilità (ma rimaniamo sotto i 70 mg/l). Con lo spaghetto a vongole è una bellezza!

Iclivi.wine

4. Franco Terpin – Jakot 2013

Dopo un Carsico non macerato, viene l’ orange wine di un maestro del Collio. La Ribolla è generalmente la considerata l’uva migliore per le lunghe soste sulle bucce, ma questo Friulano con nome tradizionale scritto all’inverso (per non infastidire gli ungheresi) non teme confronti. Sarà il colore, ma il naso evoca qualunque frutto arancione vi possa venire in mente: arancia, mandarino, kumquat, albicocca matura, anche un po’ di nespola. Il sorso, invece, ha l’impronta del mare che c’era e non c’è più: rimpiazzato dalla famosa Ponka, mix di marna e arenaria che – per motivi attualmente non spiegabili scientificamente – rende il vino salino e saporito, pungente di erbe aromatiche, dinamico e strutturato allo stesso tempo. Cosa c’entra la carbonara?! Be’, l’ho bevuto da Cesare al Casaletto. Che poi chi ha detto che a Natale, in assenza di idee migliori, non si possa fare una mezza manica o uno spaghetto alla carbonara fatto ad arte? Sta bene pure con lo champagnino del brindisi! 

Francoterpin.com

3. Pusole – Ogliastra Bianco 2018

Partire dall’Ogliastra, andarsene a studiare alla scuola enologica di Alba, imparare tutto quel che c’è da imparare e poi, una volta tornati a casa, rinunciare a tutto ciò che non è essenziale. E’ una decisione coraggiosa, ma i risultati si vedono, sopratutto se si ha a che fare con un terroir forte come quello dell’Ogliastra, zona montana alle spalle del mare più bello d’Italia. Il sale abbonda in questo Vermentino senza compromessi e senza inganni, ma ci sono anche tracce idrocarburiche che fanno un po’ Timorasso. Il connubio di concentrazione, cremosità e parti dure mi fa pensare a una bella cacio e pepe, ma, rimanendo in tema natalizio, lo proverei in abbinamento a una trota salmonata in salsa d’ arancia. Anche in questo caso il pusher è Maurizio di Zero a Bra.

2. Casale – Trebbiano Toscano 2018

Un vino scostante, che in certi casi mi è sembrato eccessivo, estremo, il Trebbiano aranciato di Antonio Giglioli. Nell’ultimo pranzo da Per Me di Giulio Terrinoni, però, mi ha lasciato assolutamente interdetto: difficile trovare al di fuori delle terre carsiche un orange così nitido, reattivo e versatile con il cibo. Il profumo, poi, è agli antipodi rispetto al canone del Trebbiano Toscana piatto, anonimo: ricorda per metà un infuso di spezie e per l’altra metà un buon Cognac. Da Terrinoni lo abbinano alla carbonara di mare. Io tenterei l’accoppiata con un must della vigilia: le linguine con tonno e alici.

Casalebio.com

1. Le Rocche del Gatto – Spigau Crociata 2006

Non sono sicuro che quest’annata sia ancora disponibile, ma i Pigati “Spigati” di Fausto De Andreis, genio eversivo di Albenga, li trovate su Vinix. Il suo top di gamma Spigau Crociata è, come suggerisce il nome stesso, un cavaliere in prima linea nella crociata contro quella che Fausto definisce la “bananalizzione” del vino bianco (ovvero la banalizzazione mediante lieviti bananosi). Macerato per tre settimane e affinato a lungo in acciaio inox, offre un profilo inebriante, giocato tra toni terziari di cherosene, pietra focaia, miele, tarte tatin e una freschezza indomita, intatta, da vino appena rilasciato sul mercato. Una bevuta così vi aiuta a sopportare anche la peggiore delle suocere…

Rocchedelgatto.it

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