Vernaccia di San Gimignano: otto vini straordinari dal borgo più bello della Toscana

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Otto etichette per conoscere l’oro liquido del borgo più bello della Toscana: un bianco di spessore, con una storia importante alle spalle, che dà il meglio di sé a distanza di anni dalla vendemmia.

Cosa si beve di bello nel borgo più bello della Toscana? Qual’è lo stato attuale della Vernaccia? E’ la questione su cui faccio il punto mentre passeggio per le viuzze medievali a conclusione dell’Anteprima, tra una visita obbligatoria alla collegiata, per ammirare gli affreschi trecenteschi di Taddeo di Bartolo e le magnifiche Esequie di Santa Fina del Ghirlandaio, e una sosta sulla piazza medievale, dove l’oro liquido si sbicchiera nei bar. La risposta è che a San Gimignano c’è un bel fermento: produttori giovani e meno giovani stanno cercare di restituire la giusta dignità a questo vino che, per tanto tempo, ha vissuto di luce riflessa, quasi schiacciato – o perlomeno impigrito – dalla fama mondiale della cittadina e dai cinque milioni e rotti di turisti che la visitano ogni anno. Con dei numeri ed un brand del genere, la tentazione di fare un vino semplice, immediato, senza grandi pretese, da vendere indolentemente, è molto forte, ma poi il risultato è che si finisce per trovare bottiglie a prezzi stracciati (anche meno di 5 euro in GDO!). Uno smacco per l’unica DOCG Bianca in Toscana, che peraltro è anche tra le più antiche d’Italia, con una storia alle spalle che parte dal medioevo e dai commerci sulla Via Francigena, passa per la Divina Commedia – “.ebbe la Santa Chiesa e le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno le anguille di Bolsena e la Vernaccia….” – e arriva alle corti rinascimentali, dove veniva servita in diverse declinazioni: dal Vernaccino da bere d’estate a versioni più corpose per i banchetti a base di cacciagione.



L’antidoto a quasi tutti i problemi del bianco sangimignanese è la pazienza: la Vernaccia è quasi un rosso travestito da bianco e, al pari dei suoi cugini rossi, ha bisogno di stare in cantina. Non ha la piacevolezza sorniona del Vermentino o dei bianchi da uve internazionali. Deve riposare in qualsivoglia contenitore per un tempo prolungato per esprimere il suo lato più estroso, più flamboyant: quella dolcezza mielata mista a verve salmastra derivante – non me ne vorranno i dettrattori del concetto di mineralità – dagli antichi fondali marini nei quali le viti affondano le radici, tutt’oggi ricchi di sabbie e di fossili. Non è nemmeno il legno la soluzione: tante aziende cercano di velocizzare i processi fermentando il vino in barrique o tonneaux, ma il rischio è che così si vada ad aggiungere orpelli senza far emergere nulla in più. Lo ha dimostrato l’assaggio, nella sera prima dell’anteprima, di una 2016 di Panizzi, produttore storico, fatta tutta in acciaio, pensata per il consumo a breve raggio, ma più convincente per equilibrio tra complessità e spinta acida dei vini dello stesso produttore e dello stesso millesimo affinati in legno.ù

Va da sé che commentare la 2021 è complesso: bisognerebbe avere la palla di vetro per capire dov’è che questi vini andranno a parare. L’idea generale è che sia stata un’annata calda, assolata, che ha dato Vernacce leggermente più pronte del solito. Abbiamo trovato qualche campione troppo alcolico, qualcun altro abbastanza scomposto, e poi diverse etichette valide che danno già discrete soddisfazioni in bocca. Ma quel che manca è lo sviluppo aromatico: i profumi in questo stadio sono timidi e piuttosto semplici. C’è la nespola, c’è il biancospino, qualche idea di liquirizia, lavanda, rosa gialla, ma manca lo spessore, la profondità che emerge già a un paio d’ anni dalla vendemmia. Il problema fondamentale è che, nonostante tutto, molti dei vini in questione andranno sold out prima di raggiungere il punto di deflagrazione. Il consiglio, allora, è di fare quel che si farebbe con i rossi: comprare adesso – peraltro a prezzi piuttosto modici – per bere tra quattro, cinque o dieci anni.

Discorso diverso quello relativo alle riserve. Dispiace sentire dai produttori che la tipologia, introdotta a San Gimignano prima che in qualunque altra denominazione bianchista, non riscuota molto successo sul mercato, perché è quella che più facilmente può dare valore all’affinamento. Francamente ritengo che il problema con la Riserva sia l’uso a volte un po’ retro del legno, che, unito alla quota complementare di vitigni internazionali, rende alcuni vini poco scorrevoli e troppo simili agli Chardonnay barricati prodotti ovunque nel mondo.

Tirando le somme, per dare alla Vernaccia la dignità che merita toccherebbe fare tre cose: abbassare le rese ancor più di quanto non siano state abbassate negli ultimi anni, puntare alla vinificazione in purezza e attendere non meno di un anno dalla vendemmia prima di andare sul mercato. Chi fa già queste cose – Montenidoli o Signano, tanto per fare due nomi – riesce a tirar fuori vini monumentali: possenti come la collegiata romanica e slanciati come le torri, intrisi di solarità radiosa come questo borgo che, ad ogni svolta ed ogni scorcio, ti mozza il fiato.

IL REPORT COMPLETO SULLA VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO

I migliori vini:

Abbazia Monte Oliveto – 2021

Versione sfiziosa di un’azienda che ha vigne poco fuori dal borgo, su suoli pieni di conchiglie. E’ la tre poche che stapperei subito. I profumi sono essenziali, rinfrescanti: anice e salvia, mandorla amara e lemon zest. Il sorso è più espansivo e assestato della media, con dinamica dritta, giocata sull’agrume e sulle erbe aromatiche e un finale sapido di buona durata. Una delizia con le tartare di pescato.

90/100

Fattoria Poggio Alloro – Il Nicchiaio 2021

Qui si sale di complessità, sia per una questione di vigneti – molto vecchi – che per la macerazione a freddo effettuata prima della fermentazione. Gli aromi rimangono comunque molto freschi: gnestra e macedonia estiva, sbuffi mentolati che danno carattere. Ma è la più robusta, più robusta, con una spinta sapida che fa da costante e rinforza un sorso che in chiusura lascia trapelare ricordi balsamici e floreali di bella persistenza.

91/100

Falchini – Vigna a Solatio 2021

Il Cru dell’azienda dove il mescolavin Giacomo Tachis ebbe modo di mettere mano sulla Vernaccia. Fa un breve passaggio in legno e ha un timbro fruttato più maturo – mela golden, nespola – seguito da cenni di rosa gialla e anice, la solita pietra focaia. Chiede tempo, non concede troppo in questa fase, ma si distingue già per pulizia, con questa spinta minerale quasi marina che dà profondità al sorso in via di assestamento. Ci rivediamo tra cinque anni.

91+/100

Fattoria di Fugnano – Donna Gina 2020

Forse la rivelazione dell’ anteprima: Fattoria Fugnano fa dei vini che richiamano i bianchi transalpini per tensione e intensità minerale. L’esordio in questo caso è su toni marini – quasi il guscio d’ostrica alla maniera chablisienne – poi zenzero, limone candito e nocciola, erbe aromatiche e fumé in crescendo. Il sorso è ampio e polputo, con piglio minerale di fondo che traina la progressione molto dinamica, pesca e melone a rimpolpare, sale ed erbette nel finale di pulizia impeccabile e buona profondità. Da paura con degli scamponi alla griglia.

91/100

Montenidoli – Tradizionale 2020

Irresistibile fascino ossidativo dell’etichetta d’entrata di un produttore fuori dagli schemi: senape e tabacco biondo, birra blanche e caramella d’orzo, mela cotogna, erbe officinali. Densità palatale straordinaria e freschezza data dallo slancio acido-minerale. Binomio di cremosità e tensione di stampo quasi borgognone con finale lungo su toni di erbe officinali. Magnifica!

92/100

Montenidoli – Fiore 2020


Resina e cioccolato bianco, miele, composta di pere, liquirizia e anice. Stessa polpa del precedente, ma è un po’ più austero, con una vena pietrosa-mentolata in crescendo e poi lime e liquirizia, zenzero e rimandi fumè nella chiusura di grande incisività.

92/100

Il Palagione – Ori Riserva 2020


Forse il vino più espressivo del carattere della Vernaccia nel tempo: sa di fieno e idrocarburo, curcuma, mandarino e miele d’acacia. Ha una bocca voluminosa, carica di frutto e sostenuta dalla freschezza impeccabile, con finale notevole su ritorni di iodio ed erbe aromatiche. Godimento assicurato in accoppiata con un tagliolino ai funghi.

93/100

Signano – La Ginestra Riserva 2020


Incenso e noce moscata, lemongrass e menta. Bizzarro e accattivante con piglio roccioso di fondo, cremosità a contrasto e bel finale speziato, ispessito dal legno, ma senza pesantezza. Intrigante, ma assaggi di annate più vecchie suggeriscono che ha bisogno di almeno di anni in più.

93+/100

BONUS TRACK:

Signano – Vernaccia di San Gimignano 2002

Si diceva delle annate più vecchie… questa l’ha stappata il produttore durante un pranzo da San Martino 26, ottimo bistrot vicino alla chiesa di Sant’Agostino. Ha un naso evolutivo, giocato su toni di caramello e mandorla tostata, ma in bocca è ancora reattiva, vitale, perfettamente capace di accompagnare il tagliolino trenta tuorli, colatura d’alici e perle di scampo dello chef italo-albanese Ardit Curri. A trovarne di più di bianchi italiani ventenni così in forma!

93/100

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