Lo Champagne aldilà dell’assemblage: cinque Blancs de Blancs e cinque Blanc de Noirs straordinari

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Siamo stati a Modena Champagne Experience e, tra cento e passa vini assaggiati, ne abbiamo scelti dieci da sole uve bianche o solo uve rosse che lasciano veramente il segno.

I BLANC DE BLANCS

5. Val Frison – Lalore Brut Nature

Goustan di Val Frison, piccolo vigneron della Cote des Bars, rimane uno dei miei Blanc de Noirs del cuore. Ma siccome ne avevo già parlato nell’articolo sull’edizione 2019, quest’anno mi sono soffermato sul Lalore, il Blanc de Blancs di Valerie Frison, che mantiene una linea coerente con la sua controparte noir, giocando su spunti ossidativi e mielati che vanno a braccetto con rimandi minerali – marini più che gessosi – e una ventata balsamica rinfrescante. Non è di certo il classico Blanc de Blancs spensierato e scorrevole: ha una pienezza vinosa importante, ma calibrata alla perfezione dalla mousse e dallo slancio acido-sapido senza compromessi. Ci si abbina una pizza, una mortadella seria, e si gode…

92/100

4. De Sousa – Avec Le Temps Grand Cru Extra Brut

Altro giro, altro Blanc de Blancs straordinario dalla gamma molto variegata di una delle maison più popolari nella cerchia degli appassionati. Racchiude le uve dei quattro village che costituiscono la creme de la creme della Cote des Blancs – Avize, Oger, Cramant, Le Mesnil – e offre un binomio di cremosità e raffinatezza micidiale, con tratti classici di burro demi-sel, miele d’acacia, cioccolato bianco, frutti tropicali e un che di mentolato. E’ il più “facile” dei cinque: burroso quanto basta, non troppo strutturato, ma in perfetto equilibrio tra slancio e materia di fondo. Ha anche un rapporto qualità-prezzo molto interessante.

93/100

3. Beaugrand – Montgueux Brut

Scendiamo giù a Montgueux, la collina dell’Aube soprannominata “il Montrachet dello Champagne” perchè dà vita a Chardonnay di grande potenza, materici e minerali, complessi e gastronomici. Jacques Lassaigne è l’interprete più noto di questo Cru, ma anche Helene Beaugrand non scherza. Il Montgueux è in tutto e per tutto un Grand Cru di Chablis con le bolle: profuma di guscio d’ostrica e pesca nettarina, limone candito, erbe aromatiche, pietra focaia, e ha una dinamica fantastica, imperniata su di una salinità profonda, penetrante che bilancia una polpa fruttata e burrosa da Chardonnay tranquillo. Sta bene con tante cose: a parte da un bel un tagliolino al tartufo bianco.

93/100

2. Louis Roederer – Blanc de Blancs 2014

Stappato a fine giornata da Erika Mantovan di Sagna, un classico senza tempo con un filo di freschezza in più dato dall’annata fresca: dispensa aromi universali di pan brioche e crema chantilly, ananas e fiori gialli su fondo di craie. E’ avvolgente, setoso, composto e compassato, ma la matrice minerale di Avize – il village Grand Cru dal quale provengono le uve – gli dà un tocco di carattere in più e l’acidità spinta del millesimo lo rende tonico, armonioso, beverino e incisivo allo stesso tempo. Te lo porteresti dall’aperitivo ai secondi di mare, se non fosse che la prima bottiglia finisce in un battibaleno.

94/100

1. Agrapart et Fils – Terroirs Grand Cru Brut

Versato da magnum, ancora infinitamente giovane, ma già molto eloquente: marino e gessoso in prima battuta, più dolce, tropicale e fragante con l’ evoluzione, anche dotato di una certa verve floreale e mentolata che riecheggia nel sorso spaziale: cremoso, voluminoso e allo stesso tempo agile, con un finale interminabile, meraviglioso su toni di craie e spezie dolci.

95/100

I BLANC DE NOIRS

5. Quentin Beaufort – N°11 Brut 2017

Quest’anno mancava all’appello Jacques Beaufort, uno dei massimi interpreti del Pinot Noir, ma in compenso c’era il vino di suo figlio Quentin, che a Polisy, nella Cote des Bar, vinifica i grappoli di una parcella di 28 are piantata nel 1992. Lo stile è molto simile a quello del papà: ossidativo, profondo, giocato su aromi scuri di sottobosco e crema di caffè, incenso e drupe da rosso fermo. Ma c’è anche una bella impronta minerale che lo rende più fluido, meno impegnativo, senza, però, ridurne l’incisività. E bravo Quentin!

92/100

4. Alain Reaut – Sol Diese Brut

Biodinamica in vigna (sempre nella Cote des Bar), zero solfiti. Anche questo sulla carta sembrerebbe un prodotto abbastanza “spinto”. E, invece, è molto equilibrato, sicuramente ossidativo al naso – mela cotogna, amaretto, spezie scure – ma composto in bocca, avvolgente e vinoso, meno sferzante degli altri quattro di questo quintetto, ma appagante e molto spendibile sulla cucina emiliana – tortellini, salumi, cotoletta petroniana – e su quella romanesca dalla carbonara all’abbacchio.

93/100

3. Apollonis – Monodie Vieilles Vignes 2010

Finalmente un Meunier in purezza… e che Meunier! …Dieci anni sui lieviti, vigne di 70 anni, dosaggio basso per far emergere in tutto il suo nitore la materia spettacolare. L’attacco è su note di polvere da sparo, fragolina di bosco, cacao amaro, un’idea di spezie orientali e pot-pourri che mi riporta a Chambolle Musigny e dintorni. La bocca è dinamica, appena tannica, aromaticamente molto fine e asciutta, croccante di mela, ribes e agrume rosso nella chiusura avvincente. E pensare che, fino a qualche tempo fa, c’era chi pensava che il Meunier non servisse ad altro che a “far da spalla” a Chardonnay e Pinot Noir!

93/100

2. Hebrart – Noces de Craie Grand Cru Extra Brut

Nomen omen, direbbero i latini. Si, perché questa cuveè prestige di vigneron da parcella di 45 anni ad Ay, cuore della Vallee della Marne, fa forza sulla freschezza quasi balsamica (oltre che minerale) della craie – il calcare simile a gesso di cui è ricco il territorio champenoise – e su tratti di pasticcino alla fragola, pepe bianco, erbe officinali. Ha volume, ricchezza, profondità, ma non è troppo ossidativo, anzi evidenzia una certa pulizia e una buona dose di freschezza mentolata che ravviva il finale raffinato ancor prima che profondo. ” Ha battuto la Grande Dame in degustazione alla cieca” riferisce Andrea Briano di Trimboli Wines. Non stentiamo a credergli.

94/100

1. Marguet – Ambonnay Grand Cru 2016

E arriviamo al vino della giornata: quello che ti lascia senza fiato. La 2016 si prospetta grandiosa come annata per i vintage e Benoit Marguet non poteva non centrarla in pieno. L’ Ambonnay ’16 è semplicemente un mostro: caleidoscopico, chiaroscurato, completo, alterna profumi invitanti di fragolina di bosco, cannella, incenso, ginseng, a ventate minerali e boschive impetuose. C’è tutto il gusto della craie nel sorso tetragono, ma anche una polpa ricchissima, golosa, qualche accenno di tannino, ritorni ossidativi mai sopra le righe e un tocco di spezia da legno che non stona. Il finale ripropone tutti gli aromi in sequenza e dura minuti. Vino non per tutti, ma per tanti, che scalderà il cuore di chi se ne frega della piacevolezza “a qualunque costo” e cerca le emozioni forti.

97/100

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