Il nome può suonare nuovo anche a chi bazzica il Salento vitivinicolo, perché, in effetti, le Cantine Fiorentino esistono con questo marchio da meno di dieci anni. Ma il progetto portato avanti da Pierantonio Fiorentino, imprenditore già attivo nel settore dell’energia rinnovabile, nasce dalle ceneri di un’azienda con una storia ben più lunga, fondata nel 1820 e protagonista del rinascimento enologico salentino a partire dai primi anni 90’. Luigi Vallone, titolare della defunta Valle dell’Asso, e il suo enologo Elio Minoia, furono, infatti, tra i primi a ricavare un vino ambizioso dal Negroamaro piantato nell’agro di Galatina, sfruttando in particolare il biotipo denominato Cannellino, che matura anticipatamente e non perde acidità e vigore tannico neanche quando viene lasciato ad appassire in pianta.
Il Piromafo di Valle dell’Asso è stato vino pioneristico in tutto e per tutto e, se non gode della stessa notorietà di etichette cult come Graticciaia, Patriglione e Le Braci, è per via delle peripezie produttive e finanziarie che hanno caratterizzato l’azienda fino all’acquisizione da parte di Fiorentino, che ha recuperato le cantine storiche e incorporato i vigneti nei suoi oltre 75 ettari di proprietà coltivati in regime biologico.
Oggi la produzione del “grand vin” prosegue nel segno della continuità: il Piromafo – il cui nome in greco significa colui che batte il fuoco – è ottenuto da vigneti allevati a spalliera su terreni argillosi con striature rossastre ferroso, condotti in aridocoltura. Alla vendemmia posticipata per concentrare zuccheri e polifenoli del Cannellino, fa seguito una fermentazione con lunga macerazione sulle bucce. L’affinamento avviene in botti grandi di rovere per circa 16-18 mesi.
La 2016, prima annata prodotta sotto l’egida di Fiorentino, è solo all’inizio di un lungo percorso. “ Il Negroamaro è meno immediato e più tannico del Primitivo – ci spiega – ha sempre bisogno di tempo”. Mirto, mallo di noce, marasca e gelso maturo plasmano un sorso ampio e carnoso, con la concentrazione di frutto derivante dalla vendemmia ritardata che viene prontamente smorzata da tannini ben estratti e ritorni di chinotto ed erbe officinali. Giovane, ma già compiuto, perderà un po’ di “baby fat” e guadagnerà molto in complessità con il riposo in bottiglia.
Segue una verticale di otto annate che ripercorre le varie fasi del vino e di Valle dell’Asso: probabilmente la 2010 e la 2011 sono figlie di un periodo un po’ complicato e, per quanto ancora godibili, si trovano già in una parabola evolutiva discendente. Sembrano paradossalmente più mature della 2007 e della 2008: entrambi puntualissime nell’ esibire l’ estro del Negroamaro maturo, con tracce di carrube, cuoio, trito di erbe spontanee e pot-pourri che anticipano sorsi molto reattivi: il primo un po’ più caldo e voluminoso ; il secondo più snello e salino, decisamente giovanile.
La 2005 è appena penalizzata da un tannino un po’ scorbutico che occulta il frutto e rafforza i ritorni terziari; la 2001 è autunnale al naso, ma si riprende in bocca, sferrando l’ attacco sapido e chiudendo su toni di oliva al forno e spezie scure. Ma le sorprese più grandi le dispensano i due vini più anziani della batteria: la ‘99 è un piccolo capolavoro che riafferma il potenziale d’invecchiamento del Negroamaro. Funghi porcini, conserva di pomodoro e anisetta lasciano spazio al frutto nero dolce e goloso, che torna puntuale in bocca, sostenuto da tannini precisi e acidità ancora tonica, erbe e spezie a ravvivare la progressione tutto meno che stanca. Il 2000 rimane un passetto indietro, ma è comunque degno di nota. Danza sul filo del cioccolato fondente e delle erbe officinali, con giusto qualche accenno di tabacco da pipa e salsa di soia, per poi distendersi in un uno sviluppo vellutato, di souplesse quasi bordolese, ma con salinità intensa ed eco di garriga a riaffermarne l’identità mediterranea.
I punteggi della verticale di Piromafo di Cantine Fiorentino:
2016 – 91/100
2011 – 86/100
2010 – 86/100
2008 – 92/100
2007 – 90/100
2005 – 87/100
2001 – 89/100
2000 – 92/100
1999 – 93/100