Breg 2007 di Gravner: più che vino naturale, vino geniale

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Seconda parte di un esercizio di scrittura svolto con Giampaolo Gravina a Pollenzo. La prima parte la trovate qui.

MICHELANGELO BUONARROTI, PIETA RONDANINI, 1552-1553

Questo è un vino grandioso, ma trascende il concetto di naturale/artigianale/spontaneo. E’ in primo luogo un vino geniale, visionario, frutto di una mirabile intuizione, di una mente che ha intuito anzi tempo il valore della sottrazione, della rimozione degli orpelli, e ha provocato una svolta repentina, decisa, nella storia del vino bianco italiano. Non è di certo un vino artefatto: il protocollo produttivo è decisamente sottrattivo, ma quel poco che Josko fa influisce enormemente sul risultato finale. Genio è la parola chiave: quello del produttore, ma anche il genius loci, perché la tensione minerale che mette in moto la massa deriva senz’ombra di dubbio dalla Ponka. Penso, in fin dei conti, che questo vino rappresenti un paradosso, una contraddizione. Il paradosso è che i vini classici, senza stile, riscuotono un grande successo, ma non diventano mai “mitologici” .I veri vini mitologici, invece, sono quelli che fondono la potenza del terroir con una cifra stilistica precisissima, inequivocabile, alle volte avanguardista; con un’attitudine visionaria, una volontà di andare oltre: anche oltre il terroir come tutti gli altri lo intendono.

Il Breg è, come tutti i vini di Gravner, più michelangiolesco che raffaellesco, e proprio come i capolavori del grande maestro del rinascimento, ha ispirato una corrente manierista. Ma nessuno è mai riuscito a fare un vino identico al Breg, come nessuno è mai riuscito a dipingere un altro Giudizio Universale. Sono opere che inspirano e alle quali si aspira, ed ispirazione ed aspirazione sono indissolubilmente legate al concetto di “genio”. “Genio” è, pertanto, la parola chiave che definisce questo vino, e genio e sottrazione possono andare a braccetto: si pensi alla Pieta Rondanini dell’ultimo Michelangelo, splendida nella sua indefinitezza. Genio e spontaneità possono anche andare d’accordo, ed io penso che, in questo caso, il genio abbia tirato fuori un caledoiscopio ipnotico di sensazioni vigorose, debordanti, modulando in maniera minimale – ma impattante – la materia spontaneamente sopraffina offerta da un terroir ibrido, di confine, che il genio sembra quasi foraggiarlo.

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