Di nuovo l’ombra dei dazi sul vino italiano

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E’ stato risparmiato dall’ultima tornata di dazi per l’affaire Airbus-Boeing, ma potrebbe essere colpito dalle ritorsioni per la digital tax imposta dall’Unione Europea sui proventi dei colossi del web.

Il vino italiano è di nuovo il capro espiatorio delle grandi guerre commerciali internazionali. A lanciare l’allarme è l’Unione Italiana Vini, che, secondo quanto riportato da Italia a Tavola, vedrebbe di buon occhio un rinvio della tassa digitale per evitare di far esplodere un’ altra bomba in un contesto economico e geopolitico già complesso. “Occorre prudenza in questa fase così delicata della politica americana – ha affermato il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti – bisogna sospendere temporaneamente gli effetti dell’imposta sui servizi digitali alla luce dei lavori in corso in ambito Ocse, anche cogliendo l’opportunità della presidenza italiana del G20 nel 2021 che potrebbe farsi promotrice di un accordo multilaterale e tendere una mano verso la nuova amministrazione Biden”.

Già in questo articolo parlavamo del perché dei dazi sul vino e sul cibo. Spiegavamo, per l’appunto, che è una questione di surplus commerciale: nel 2019 il valore delle esportazioni di prodotti agroalimentari dell’Unione Europea superava di ben 32 miliardi di euro quello delle importazioni, e gli Stati Uniti, primo mercato per l’EU, assorbivano il 16% dell’export totale. In questo contesto, le esportazioni di vino ammontavano al 3,5% del valore totale, pari a 5,3 miliardi di euro, con una crescita su base annua del 3,6%. Introducendo queste sanzioni, l’amministrazione USA intende un settore strategico per l’economia di tutti i grandi paesi europei.

La buona notizia è che a decidere sui dazi sarà la nuova amministrazione Biden e non quella uscente, che delle ritorsioni commerciali ha fatto un elemento di propaganda. Già all’alba delle Elezioni Usa si era parlato di una possibile “distensione”, ma la Commissione Europea, pur accogliendo positivamente la politica della riconciliazione sulla quale il candidato Dem aveva basato la sua campagna elettorale, si era detta fermamente convinta della necessità di tassare i big del tech. Il commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni aveva affermato a riguardo: “Una tassa sul digitale ha visto rafforzate le sue ragioni in modo enorme in questi ultimi terribili mesi, i giganti del web in fondo sono stati i veri vincitori di questa pandemia, incrementando profitti e capitalizzazioni di borsa ma tutto ciò continua a convivere con un sistema di tassazione del secolo scorso, legato alla presenza fisica delle imprese”.

Vengono in mente, alla luce di queste nuove minacce, le parole di Antonio Galloni, fondatore di Vinous, in una lettera indirizzata al presidente Trump nei primi mesi dell’anno scorso. Galloni scriveva: ” Una nuova tornata di dazi creerà un effetto domino che comporterà una contrazione dell’intera industria del vino statunitense (sia distribuzione che produzione). Non solo: migliaia di americani attualmente impiegati nell’industria del vino ne risentiranno: i dazi avranno un effetto devastano su di loro e sulle loro famiglie.”

Dunque nuovi dazi non sarebbero dannosi esclusivamente per i nostri produttori, ma anche per le persone – e sono tante – che lavorano con il vino italiano negli Stati Uniti. Da entrambe i lati arriva, pertanto, l’incoraggiamento a trovare una soluzione alternativa a queste dispute.

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