La sua musica è come la vite: un anello di congiunzione tra tra Oriente e Occidente. E nei luoghi nel vino è nato, ha trascorso gran parte del suo tempo e si è spento.
Franco Battiato ha passato i suoi ultimi anni di vita nel castello dei Moncada a Milo, la cittadina sui declivi de “A’ Muntagna” dove Lucio Dalla faceva il suo vino – lo “Stronzetto dell’Etna” – e dove Salvo Foti, con Benanti e con i Vigneri, ha prodotto alcuni dei migliori Etna Bianco in circolazione. I natali, invece, li aveva avuti a Riposto, altro paese molto importante per la storia del vino etneo. Il nome “U Ripostu” deriva, infatti, dalle tanti botti “riposte” nei magazzini in attesa di essere spedite via mare.
Eppure chi lo ha conosciuto sostiene che il vino non avesse un ruolo di particolare rilievo nella sua vita meditativa e spirituale, creativa e claustrale. Pare che non facesse parte della folta schiera di artisti che cercano l’ispirazione nell’ebrezza. Certo è solo che il nettare di Bacco l’ha cantato più volte: “con l’idrolitina” in Zone Depresse – straordinario affresco di spleen derivante dal lento ed inesorabile fluire dell’esistenza – o come suggello di amicizie in “Oh sweet were the hours”.
E poi Battiato ha anche reso in una strofa l’immagine – e la magia – della sua terra: quella dove crescono ” U Niuriddu” e “U Carjcanti“:
Quei muri bassi
di pietra lavica
arrivano al mare
e da qui
ci passava ogni tanto
un bagnante in estate.
Sciara delle Ginestre
esposte al sole
passo ancora il mio tempo
a osservare i tramonti
e vederli cambiare
in Secondo Imbrunire.
Abbinare un vino – uno solo – ai pezzi forti del repertorio di questo immenso artista è veramente complicato. Ci vorrebbe l’aiuto di un musicologo. Ma, a pensarci sopra, mi vengono in mente:
– Il San Lorenzo 2014 di Girolamo Russo stappato nei primi giorni del primo lockdown: un turbinio di fumo, incenso e pepi orientali (sarawak, sechuan) a spezzare la monotonia della reclusione forzata. Un vino volato in un soffio tra giravolte aromatiche che richiamano i ritmi ossessivi dei riti tribali di Voglio Vederti Danzare.
– L’ Etna Bianco 2019 di Tenuta delle Terre Nere per l’acuta luminosità del fiore, del frutto e delle erbe spontanee frammista a tinte scure, malinconiche di cenere vulcanica. Ti lasci trasportare e ti fa naufragare su sponde serene e lontane come in Summer on a Solitary Beach.
– Un terzo vino che non è etneo, ma che più di ogni altro rappresenta la fusione tra la cultura araba e quella occidentale: il Passito di Pantelleria Bukkuram Padre della Vigna 2013 di Marco De Bartoli. Un condensato di iodio, di spezie e di sole accecante che evoca i “mondi lontanissimi”, le percussioni, i violini, le tastiere, le tonalità etniche, sinfoniche e pop di No Time, No Space.
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