Ciavolich: il vino abruzzese tra sperimentalismo e spirito imprenditoriale

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Colazione sulla costa pescarese, e poi via alla scoperta del feudo di Chiara Ciavolich tra Fosso Cancelli e Passo Cordone . La toponomastica fa pensare a un romanzo fantasy, e, in effetti, Loreto Aprutino, villaggio Grand Cru d’ Abruzzo, ha molto di surreale: a partire dalle cantine che sembrano laboratori di alchimisti. Nella seconda azienda che visitiamo, però, non c’è spazio per l’esoterismo: Chiara Ciavolich, è, infatti, il personaggio più pragmatico e concreto che incontriamo in questo tour abruzzese. 

La domande che mi sono posto nel corso di questo incontro sono: 

– si può essere allo stesso tempo custodi del terroir e innovatori, artigiani coscienziosi e imprenditori di successo?

– Si possono produrre vini convenzionali e artigianali nella stessa tenuta senza apparire contraddittori? 

Una risposta l’ho trovata, ma per arrivarci, devo raccontarvi quest’incontro per filo e per segno.

1. L’arrivo

Chiara è molto indaffarata in questo periodo, ma si è liberata per noi e, nel momento in cui varchiamo la soglia della cantina, sta parlando con Guerino, il suo enologo. Ad avvisarla del nostro arrivo ci pensa una signora che incontriamo nello spiazzo: chiacchierando scopriamo che ha appena concluso un corso FIS presieduto da due nostri compagni di Master. La aspettiamo all’ombra di una Bougainville meravigliosa (è quasi mezzogiorno e fa  un caldo boia), e, nel frattempo, sondiamo il terreno chiacchierando di conoscenze comuni.

Chiara appare una decina di minuti dopo; ci viene incontro e subito ci porta sotto una Pergola:è la seconda che visitiamo in questo viaggio abruzzese. Fausto di Torre dei Beati aveva usato lo stesso espediente di prima mattina per evitare che, in una giornata così torrida, ci prendesse un’insolazione!

2. Sotto la Pergola 

Il racconto di Chiara dura una mezz’oretta buona e parte da quando, alla metà del 700’, la famiglia Ciavolich emigrò sulle coste abruzzesi dalla Bulgaria. Non sto a raccontarvi tutto: basta dire che, nei secoli, la stirpe ha fatto fortuna e che, a metà 800, ha acquistato il palazzo di fronte al castello di Miglianico, grazioso borgo del Chietino dove tutt’oggi è situata l’altra cantina aziendale. 

I possedimenti di Loreto Aprutino, invece, i Ciavolich li hanno ereditati negli anni 60’ da Ernestina Vicini, nobildonna loretese che andò in sposa, a fine 800′, a Giuseppe Ciavolich. Ricordo una visita a questa stessa azienda cinque anni or sono. Venni per acquistare un po’ di vino allo shop e mi rimasero impressi il nome  e l’effige di “ Donna Ernestina” che vidi su una delle bottiglie. Oggi quella linea porta il nome di Giuliana Vicini, zia di Chiara.

Proseguiamo e parliamo di storia moderna. Un breve accenno alle peripezie della guerra – Miglianico era a due passi dal confine est della Linea Gustav –  e poi un resoconto molto dettagliato sull’impresa del padre, che negli anni 60’ iscrive i vigneti alle cantine sociali, poi si ritira perché il suo spirito imprenditoriale è antitetico rispetto alle strategie commerciali delle stesse, e produce un po’ di sfuso e un po’ di imbottigliato fino a quando, a fine anni 90’, è costretto a ritirarsi dopo aver avuto un ictus. É in quel momento che subentra Chiara, venticinquenne che ha studiato Giurisprudenza, ma si è appena resa conto di non voler fare l’avvocato, “perché rinunciare a tutto questo sarebbe stato un peccato”. 

3. L’impresa 

Da subito la ragazza coglie il cambiamento: sono gli anni della rivoluzione del gusto, il vino di qualità è diventato mainstream e non ha più senso produrre solo vino per il mercato locale. Da qui la scelta di cominciare a imbottigliare quelli che lei considera vini “tradizionali”, ma che qualcuno definirebbe “convenzionali”, perché il protocollo, oggi come allora,  prevede: fermentazione controllata con inoculo di lieviti, macerazioni brevi, affinamento in acciaio per pochi mesi, filtraggio prima dell’imbottigliamento. Del resto, quello è il genere di vino che i consumatori apprezzano in quegli anni e Chiara, che è figlia di imprenditori, non vuole assolutamente fare il passo più lungo della gamba. A un certo punto, però, si rende conto che, a quella produzione redditizia, si può anche affiancare qualcosa che possa piacere alla nicchia degli enofili esigenti (e un po’ snob). È da quest’intuizione che, passo dopo passo, nasce la linea Fosso Cancelli… 

4. La genesi di Fosso Cancelli

Nella storica cantina alle spalle del Lido Riccio di Ortona, si continua a produrre, anche negli anni della conversione alla produzione convenzionale, un Montepulciano tradizionale da fermentazione spontanea in vasca di cemento. La struttura, però, viene dismessa nel 2011, perché, distando cinquanta chilometri da Loreto Aprutino, che oramai è il fulcro agricolo dell’azienda, non risulta più funzionale. Cosa fare a questo punto? Rinunciare al “vino di famiglia”? Nient’affatto! … In quel momento Chiara decide di trasferire vasche e botti nella cantina loretese, dove poi avrà i natali, dagli ultimi vini prodotti al Riccio tra il 2007 e il 2008, la linea Fosso Cancelli.

5. Agricoltura

Qui è lì, nella Pergola che ci protegge, scorgiamo alcuni ceppi sessantenni contrassegnati da fascette gialle: sono quelli dai quali si produce il Trebbiano Fosso Cancelli. Ed é proprio parlando di Trebbiano che Chiara menziona per la prima volta il suo vicino: Francesco Paolo Valentini, personaggio sui generis che incontra spesso sotto i tendoni. Gli chiediamo come si faccia a prendere un appuntamento per farci due chiacchiere. Ci risponde che é impossibile: Francesco Paolo conduce una vita da eremita tra vigna e cantina, e la leggenda vuole che non gradisca gli ospiti in azienda perché, a suo dire, introducono “lieviti alloctoni”.

Le facciamo qualche domanda sulla conduzione agronomica e ci spiega di non credere molto nel biologico. “ I criteri sono standardizzati – spiega – non c’è differenza tra Nord, Centro e Sud. Preferisco la lotta integrata, perché il disciplinare varia di regione in regione”. È un’opinione assolutamente condivisibile. Il problema, però, è che le certificazioni che prevedono protocolli standardizzati sono più facili da comprendere per i consumatori di quelle che hanno criteri variabili.  

6. Cantina 

Ci addentriamo in una cantina spoglia, polverosa – e come sempre da queste parti – molto suggestiva. Le vasche d’acciaio si trovano nel nuovo capannone costruito accanto alla cascina. Qui, invece,  ci sono barrique francesi e, in minor parte, americane, e, nell’ambiente attiguo, serbatoi di cemento, anfore, orci di terracotta e botti non tostate di Garbellotto. Pablo le chiede perché usa sia le anfore che gli orci. Gli risponde: “ Negli orci faccio la fermentazione, mentre le anfore servono per l’affinamento. Per gestire meglio la fermentazione spontanea servono proprio contenitori più piccoli, perché una quantità modica di vino la si controlla facilmente.”

7. Il mercato

Per tamponare le perdite legate al lockdown, Chiara ha preso una decisione ardua che, però, è coerente con la sua visione imprenditoriale: entrare in grande distribuzione con la linea Ancilla. “ Non ho mai avuto nulla contro la GDO, ma bisogna differenziare la produzione per salvaguardare gli enotecari, che hanno un ruolo importante nel diffondere la cultura del vino. Se vendessi le altre linee alle grandi catene, farei un torto a tutti loro.” 

Anche la gamma Ho.Re.Ca è in fase di rinnovamento: le etichette delle selezioni sono cambiate, sono diventate più leggibili e lineari, e riportano in etichetta delle piccole illustrazioni che rappresentano luoghi e personaggi cari alla famiglia

L’ultima aggiunta al portfolio aziendale  è una linea chiamata “Meteore”: “Sono vini sperimentali che che cambiano di anno in anno. Oggi ci sono, domani chissà. Quest’anno abbiamo provato a fare un metodo ancestrale da Cococciola affinato in anfora.” 

8. Stakeholders

L’azienda è stata ferma nei mesi del primo lockdown. L’ingresso in GDO ha permesso di salvare il salvabile, ma il 50% del fatturato è già andato in fumo. Nonostante questo, Chiara nutre il sogno di ridurre l’orario di lavoro dei suoi dipendenti senza diminuire gli stipendi. “ È un modo di aumentare la produttività. Preferisco che lavorino meno, ma meglio.” Mi viene in mente una frase che ho sentito pronunciare a un altro imprenditore del vino un po’ di tempo fa: “ Le certificazioni di sostenibilità dovrebbero tenere conto anche del modo in cui si tratta il personale” 

9. Degustazione

Cococciola 2019. Vitigno tipico del chietino introdotto dal padre di Chiara a Loreto Aprutino. Sull’etichetta, il rosone della Cattedrale di S. Pantaleone a Miglianico. Il colore è un verdolino pimpante, il naso offre sensazioni sfiziose di lemongrass, pera, pesca noce e mandorla fresca. Il sorso è snello, citrino, piuttosto ammandorlato, ma rinfrescante. Domando se ci siano margini d’invecchiamento. Mi dice che qualche anno può stare.

87/100

Pecorino Aries 2019. Storica selezione da un ettaro di tendone a Pianella (comune che confina con Loreto) e un altro a filare nei pressi dell’azienda. Il profilo è quello dei Pecorino più veraci: cedro, mela limoncella, biancospino, spunti di erbe officinali e un’idea di mais tostato. Il sale e l’agrume primeggiano sulla progressione, che, però, è rimpolpata e calibrata da un rimando mielato derivante dal passaggio in legno di parte della massa. Molto buono e, soprattutto, molto tipico.

90/100

Montepulciano d’ Abruzzo Divus 2016. Un anno in barrique e poi un bel po’ di bottiglia. Ne esce cioccolatoso, boschivo, con la classica oliva nera a rivendicare il varietale, sfumature animali ben dosate e il giusto corredo di spezie e toni balsamici. Gustoso è lo sviluppo che apre caldo e morbido di prugna, amarena, salvo poi svelare un tannino forzuto e una discreta spinta acida che bilancia il finale terragno e tostato. Didattico e coccolone…

89/100

Pecorino Fosso Cancelli 2016. Cemento, poi legno grande con batonnage. Potrebbe essere un marpione burroso e, invece, il naso è fresco e ammiccante: esordisce su toni di anice, bergamotto, nespola e fiori d’acacia, per poi tirar fuori una bella ventata iodata. Il sorso è cremoso, carnoso di frutto maturo e piccante di pepe bianco sul fondo. C’è polpa e freschezza, e un imprinting minerale che plasma il finale d’ottima lunghezza.

92/100

Trebbiano d’ Abruzzo Fosso Cancelli 2018. Più discreto, meno immediato. Esprime una nota terragna che richiama certi Verdicchi e, a seguire, toni d’albicocca, spezie dolci, oliva verde. Al palato disattende quanto presagito e colpisce con una spinta sapida intensa, una frecciata d’agrume e un ritorno di mela matura ad addolcire un finale su rimandi alle erbe officinali. Anche questo sa il fatto suo…

90/100

Cerasuolo d’ Abruzzo Fosso Cancelli 2019. Passa in anfora dopo essere stato vinificato con salasso ed è austero, ferrugginoso, croccante di mela rossa e piccante di paprika ed erbe aromatiche. Il gusto è meno pieno delle annate precedenti e leggermente vegetale all’ingresso, ma offre acidità salivante e ritorni affumicati e di pepe bianco che lo rendono molto singolare.

89/100

Montepulciano d’ Abruzzo Fosso Cancelli 2015. Ha bisogno di tempo per aprirsi. Glielo diamo e cominciamo a parlare di turismo in Abruzzo, ristorazione, e, nel frattempo, sbocconcelliamo pane di Niko Romito e formaggi di Gregorio Rotolo. Tutt’ a un tratto , il bouquet diventa decisamente “valentiniano”: escono fuori sbuffi “sauvage”, toni profondi di mirtilli blu, cenere di camino, goudron, terracotta, un’idea più soave di fiori appassiti. La gustativa è solida, ma non massiccia; il frutto è scurissimo, croccante, il tannino rigoroso, militaresco; sul finale s’intrecciano di nuovo ricordi di ruggine e inchiostro. Mi balena in mente, oltre a quello con il Rosso del vicino, un altro paragone che calza a pennello: Nuits Saint Georges, per la profondità terragna e la precisione “marziale” …

93+/100

10. Il responso

E’ difficile far percorre a un’azienda due binari diversi senza deragliare. Chiara pare ci stia riuscendo, e, anche a fronte di stili molto diversi, le sue linee convincono per coerenza e consistenza.

Di certo qualcuno potrà non condividere la scelta di entrare in GDO, ma i tempi sono quelli che sono ed è giusto adattarsi. Io, dal mio canto, penso che di spirito imprenditoriale bisogna averne parecchio per restare a galla in questo mare d’incertezza, e che si… Chiara sa coniugarlo con la coscienziosità di un vignaiolo attaccato alla propria terra.

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